La resistenza nel Pd alla valanga. Argini furbi.

Categoria: Firme

D’Alema out? Trincee: né con Letta né con Matteo

C’è il terrore della generazione Cuperlo di sbiadire come i padri in dagherrotipo, dopo essersi aggiornata a Twitter. Ci sono le sopravvivenze e i destini personali, o forse l’inizio di un sobrio addio, dei kingmaker. Vedi D’Alema: “Ho impegni internazionali, lunedì sarò a Teheran”; oppure Bersani: “Matteo non usi la clava”, da perseguire con il pragmatismo che si raccomanda nei naufragi. E poi le gare di agilità e scaltrezza dei postdemocristiani al governo, Enrico Letta e Dario Franceschini, loro sì ancora in campo sotto l’ombrello, sempre più ampio e sempre meno dissimulato, del Quirinale. E c’è perfino un’indicibile, implicita contrapposizione fra i grandi vecchi, quelli che il filo da tessere continuano ad averlo: Giorgio Napolitano e Romano Prodi, che avrebbe voluto essere al suo posto. L’élan renziano genera nella nomenclatura del Pd, spaesata dai numeri e dall’anagrafe, diverse modalità di resistenza e/o di disperazione. E la necessità di rivedere le capacità tattiche, da tradursi per ora in uno screening compulsivo dei numeri nei gruppi parlamentari: vengono da lì le uniche munizioni spendibili contro l’attacco extra moenia del neo segretario.

Cuperliani. Ovvero ex Pci, ex Fgci, ex dalemiani, ex bersaniani (“circa 43 senatori e 125 deputati, ma friabili”). Quest’area, la più sofferente, si prepara all’opposizione interna, a costruire, come dice Matteo Orfini, “una componente” o come suggerisce l’ex direttore dell’Unità “una correntona” che assorba le altre e possa trattare con Renzi, ma in nessun modo per conto di Enrico Letta. “Come potrebbe essere ancora spendibile come candidato premier l’uomo delle larghe intese?”, diceva un dirigente di spicco di quest’area. “Con Renzi a Palazzo Chigi”, è la tesi, “il partito potrebbe tornare nelle mani di chi non si rassegna e vorrebbe riprenderselo”, quelli che “gli vogliono bene”.  Per questo serve non perdere il controllo dei gruppi parlamentari e uno spazio di manovra per le liste che verranno. Il sogno non è facile da realizzare perché la botta è stata forte, molto più del previsto.  A Letta i bersaniani non hanno perdonato le modalità del passaggio al governo, i dalemiani la scarsa solidarietà con il loro leader e l’aver cercato sempre e solo accordi con Renzi come pure  la scelta di mantenere il segreto sul suo voto alle primarie.  “Siamo stati governisti contro Renzi e appoggeremo il governo fino al 2015 punto”, spiega al Foglio Stefano Esposito, esponente dei Giovani Turchi (che poi non vogliono essere chiamati così).  Insieme a Matteo Orfini, Andrea Orlando e più sotto traccia lo stesso Cuperlo, i quaranta-cinquantenni ex diessini hanno un doppio problema:  “Non essere le truppe di D’Alema e Bersani”, come dice ancora Stefano Esposito e trovare  un nome. “A questo fine sarebbe stata perfetta e compatibile con il ruolo di opposizione interna  la casella di presidente dell’assemblea del Pd offerta a Cuperlo da Renzi”, osserva Orfini, “speriamo ancora di convincerlo”, insiste nonostante la riluttanza del candidato sconfitto. Non ha apprezzato, Orfini, neppure il rifiuto di un posto in segreteria, coerente peraltro con la scelta di fare l’unica opposizione. Alla presidenza dell’assemblea alcuni di loro non vorrebbero rinunciare comunque, mettendoci magari Andrea Orlando. “Ma la poltrona è una e potrebbe essere appetibile anche per i vecchi… Epifani, Veltroni”, sussurrano preoccupati confidando nella sensibilità di Renzi per la questione generazionale.

Enrico & Dario. I destini di Letta e Franceschini, gli ex delfini di Franco Marini abituati ai reciproci, sportivi tradimenti, restano incrociati. Per ora. Nonostante il renzismo del ministro per i Rapporti con il Parlamento, entrato con quattro membri su dodici nella segreteria del partito, tutto è subordinato alla durata del governo e dunque al rinvio apparentemente accidentale, per inerzia, della riforma della legge elettorale. La linea di Franceschini è chiara: “Renzi ha assicurato che non punterà a elezioni politiche prima del 2015 e noi gli crediamo, non vorrà assecondare Berlusconi”, spiega un fedelissimo del ministro “se dovesse cambiare idea ce la vedremo in Parlamento. E finora ogni prova di forza è sempre stata respinta”.

D’Alema. Non si è visto in tv, si è dissociato dall’immagine triste della sconfitta di Cuperlo. Semplicemente è rimasto a casa, mentre al Tempio di Adriano, nella sala vuota scelta per aspettare i risultati delle primarie,  un ex dalemiano sussurrava che era stata colpa delle sue bordate se Cuperlo era andato addirittura sotto il 20 per cento. “Non do direttive a Cuperlo”, giura l’ex presidente del Copasir. “Vuole essere candidato alle Europee”, riassumevano ieri per lui i bersaniani confermando le antiche ambizioni. Ma già in serata a “Ballarò” Renzi tagliava netto: D’Alema e vecchia guardia in Europa? “Non credo proprio, in Europa non servono trascinatori di liste ma gente che ci sta”.

Il presidente Napolitano. Ascolterà Renzi in un imminente, atteso ma non fissato colloquio. La rete di protezione per il governo è già stesa,  gli avvertimenti sulla scarsa propensione a elezioni anticipate noti ed espliciti, idem sulla legge elettorale agganciata alle riforme costituzionali. Quanto alla fine degli ex Pci, la tesi è più o meno che “una radicale obsolescenza si era già vista, meravigliarsi di che?” (non è un virgolettato del presidente, naturalmente).

La riserva Prodi. Era l’altro volto sorridente della sera delle primarie oltre a quello di Renzi.  Si è posizionato nel ruolo di riserva della Repubblica, superando la questione rottamazione e ponendosi come diga allo scenario neo proporzionalista confezionato dalla Corte costituzionale. Nel crocevia del cambiamento, tra Renzi e Civati presidiati dai suoi. Ha drammatizzato in un comunicato destinato a rimanere a verbale: il bipolarismo è a rischio, non volevo votare, voto. Biglietto di accesso a nuove competizioni. Prodi non dimentica i vecchi sogni e le pugnalate.

FQ. di Alessandra Sardoni, 11 dicembre 2013 - ore 12:00