Vecchi e giovani

Categoria: Firme

Cari sessantenni, il potere va ai trentenni,

accettate i limiti del tempo e sfruttatene i pregi

Cari sessantenni e oltre, rassegnatevi, vi prego, ragionate e rassegnatevi. Lo so che le statistiche sull’età media della mortalità vi hanno ringalluzzito, lo so che il Viagra vi ha fatto sentire di nuovo (se siete maschi) in grado di cavalleresche conquiste, e che la riforma Fornero vi fa credere di essere perfettamente in grado di continuare, come se nulla fosse, nel frenetico mondo in cui si produce, si costruisce e si conta. Ma siete – siamo – vecchi, il che può essere interessante, coinvolgente, persino bello ma è diverso dall’essere giovani.

La parola vecchiaia viene raramente nominata nel discorso pubblico e persino in quello privato. Si dice ad esempio di un conoscente di settant’anni. L’ho trovato invecchiato. Che frase stupida. A settant’anni non si è invecchiati, si è vecchi. Si può essere in buona o cattiva salute, ma questa è un’altra cosa. Si è comunque entrati in quella età in cui, per dirla con Doris Lessing, “si sa” di più e “si può” di meno (“Se gioventù sapesse”, Feltrinelli) che a volte può sembrare una bella fregatura, lo ammetto, ma inferiore a quella di chi pensa che, poiché sa di più, può di più e può come quando aveva trent’anni di meno. La recente vicenda politica italiana, quella di Renzi, della rottamazione, dei giovani che si contrappongono ai vecchi dirigenti del Pd, mi ha scarsamente interessata dal punto di vista dello schieramento e dei contenuti ma mi ha fatto pensare ai vecchi e alle vecchie, categoria della quale inesorabilmente faccio parte.

La società italiana tutta è dominata da questo rapporto negativo con la vecchiaia. Anzi, lo sono le società occidentali. Gli uomini più delle donne, mi pare. Due miei cari amici mi hanno spiegato che loro la allontanano, continuando a comportarsi come se non li riguardasse, perché la vecchiaia non è un’altra età della vita ma “l’anticamera”. Hanno detto proprio così, “anticamera”, e non hanno aggiunto altro. Certo deve essere difficile vivere pensando che la vecchiaia è un’anticamera, non ha altro fine, non ha altro scopo che quello di un percorso tutto già definito, e che non possa essere vissuta per quello che è ma solo in funzione di quello che c’è, inevitabilmente, al suo termine. Capisco che in quel caso si faccia di tutto per non entrare nell’“anticamera”. Non è solo un atteggiamento psicologico. E’ pratico, comportamentale, politico, di potere.

Dall’università ai centri finanziari, all’industria, ai sindacati, alla politica, tutto è dominato da uomini anziani (e da qualche donna). Sfogliando le pagine dei quotidiani (quelli che ancora li leggono hanno sicuramente una certa età) ci si rende conto che banchieri, direttori dei giornali, sindacalisti, capi delle istituzioni sono in gran parte nella fascia di età che va dai sessanta agli ottant’anni. Tutta gente che non molla perché altrimenti entrerebbe nell’anticamera. E che se ne frega del fatto che, per dirla con Cicerone, “la vecchiaia, specialmente quella che ha conosciuto tutti gli onori, possiede un’autorità che vale ben più di tutti i piaceri della giovinezza”.

No, non riescono a pensare se non a quello che perderebbero se accettassero di diventare vecchi: il telefono che squilla continuamente, gli impegni sull’agenda, le segretarie che obbediscono ai loro ordini, lo sguardo ammirato di chi vede in loro il potere, l’affermazione. Consiglierei invece ai sessanta-settantenni di fare, e rapidamente, i conti con la loro età. Perché ho l’impressione che qualcosa, anche nella società italiana, possa muoversi rapidamente. Si è già mosso nell’ambito della vituperata politica, dove c’è un Parlamento con un’età media di 48 anni – inferiore a quella francese, spagnola, tedesca e americana – in cui Enrico Letta è il più giovane premier europeo e precede Cameron, sia pure di soli due mesi. E’ una rivoluzione generazionale, che non è detto sia politica, tuttavia è una rivoluzione. E non è detto che non ne preceda altre nei luoghi in cui i sessanta-settantenni si sono accucciati e si difendono.

Da una rivoluzione all’altra

Per essere vecchi occorre coraggio, perché la vecchiaia è una grande e sofisticata costruzione, che richiede pazienza, capacità estetica, una buona dose di ironia, la capacità di allontanare i momenti di sconforto che pure ci sono, una grande voglia di esplorare quel mondo dell’età nel quale per nostra fortuna viviamo. Un pizzico di incosciente ottimismo.

Ha detto un giorno Paul Nizan: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”. Mi viene da dire a chi è vecchio: “Non permettete a nessuno di dire che i sessanta, settanta, ottant’anni sono il periodo peggiore della vostra vita”.

Vecchio può essere bello. Potrei continuare a dimostrarvelo se non avessi, dopo circa cinquemila battute al computer, un po’ di mal di schiena.

FQ. di Ritanna Armeni, 12 dicembre 2013 - ore 08:12