Orwell a Palazzo Chigi. La ridicolissima

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neolingua gay friendly delle Pari opportunità

Orwell a Palazzo Chigi? La neolingua che in “1984” nasconde e maschera la realtà, invece di descriverla, rivive nelle  “Linee guida per una informazione rispettosa delle persone Lgbt”, stilate dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (accorpato alla presidenza del Consiglio) e pubblicate sul sito di Palazzo Chigi a cura del viceministro per le Pari opportunità,  Maria Cecilia Guerra. Sono un ridicolo invito alla censura e all’autocensura, e sono anche l’ennesima dimostrazione di come il succo dell’affermazione dei cosiddetti “nuovi diritti” sia la demolizione dei diritti veri, primo tra tutti quello alla libertà di espressione e alla facoltà di chiamare le cose con il loro nome. Qualche esempio: è altamente sconsigliato, per illustrare articoli sulla “comunità Lgbt”, pubblicare foto di persone “luccicanti e svestite” stile Gay pride; mai parlare di “utero in affitto”, definizione da sostituire senza indugio con “gestazione di sostegno”. Guai a chi confonde sesso e genere, guai a chi parla di un trans e non di “una” trans, se il/la trans si sente femmina. Cancellate (e soprattutto non scrivete) la parola prostituta/o, da sostituire con “lavoratrice del sesso trans”. Non si parli di nozze gay ma di “matrimonio fra persone dello stesso sesso”. E’ il bavaglio del politicamente corretto: solo suggerito, dice la Guerra, anche se l’intera operazione nasce con la benedizione (autolesionista) dell’Ordine dei giornalisti, al quale i trasgressori saranno deferiti per violazione della deontologia professionale. Aspettiamo poi che sia approvata la legge sull’omofobia (le linee guida Unar sono solo l’antipasto) e vedremo che l’autocensura “facoltativa” diventerà obbligatoria.

Il Foglio  21-12-2013