Il Nobel Amartya Sen contro gli aborti

selettivi delle femmine in GB

Nel 1990 fu l’indiano Amartya Sen, il premio Nobel per l’Economia con cattedra a Harvard che ha dedicato la sua vita alla causa dei meno abbienti e dei paesi emergenti, a lanciare l’allarme sulla New York Review of Books: “Almeno sessanta milioni di bambine sono state cancellate in seguito a infanticidi o aborti selettivi di femmine. E’ una rivoluzione tecnologica di tipo reazionario. Il sessismo dell’aborto selettivo”.

Adesso Amartya Sen torna, stavolta dalle colonne del quotidiano inglese progressista Independent, a denunciare la “strage di Eva”, il gendercide, lo sterminio delle bambine che da oriente ha preso piede in occidente, in casa nostra. Nel suo nuovo saggio, dal titolo “The lost girls”, Amartya Sen parla dell’aborto come di una “discriminazione neonatale” e spiega che non si tratta di un fenomeno di povertà o arretramento sociale, piuttosto avviene in gran parte fra le donne istruite, benestanti, dall’India alle comunità di immigrati di Londra. Raramente il premio Nobel era intervenuto nuovamente sull’aborto dalla pubblicazione di quel saggio nel 1990. Ma adesso, secondo quanto infatti rivela lo studio pubblicato dall’Independent, nel Regno Unito, Inghilterra e Galles, mancano all’appello nel censimento nazionale inglese quasi cinquemila bambine. Bambine abortite. Secondo l’indagine governativa, spiega il quotidiano inglese Daily Mail sui dati diffusi dall’Independent, non si erano trovate prove concrete di questo squilibrio demografico e di genere, ma l’ultimo censimento nazionale mostra una chiara discrepanza nella consistenza sessuale maschio/femmina in comunità di immigrati, cosa che suggerisce appunto che le figlie femmine vengano abortite. “Che tale discriminazione abbia un posto in gran parte del mondo moderno è desolante”, scrive Amartya Sen. “Quando ho scritto sulle ‘bambine mancanti’ negli anni Ottanta e primi anni Novanta, le mie conclusioni erano basate su una immagine chiara e sui dati disponibili fino al 1980”. Da allora, scrive il premio Nobel, “l’ampio utilizzo di nuove tecniche come l’ecografia per determinare il sesso dei feti ha portato a numeri enormi e crescenti di aborti selettivi di feti femminili. L’istruzione delle donne, che è stata una forza potente nel ridurre la discriminazione contro le donne, non è stata in grado di eliminare,  almeno non ancora, la discriminazione neonatale”.  Una strage santificata dalle autorità inglesi. O come ha detto il Tory Julian Brazier, “la Gran Bretagna è l’unico paese occidentale in cui si può legalmente abortire per motivi di ‘genere’”. Settimane fa, infatti, Keir Starmer, il direttore della procura generale del Regno Unito, ha stabilito che i medici che praticano aborti legati al sesso non saranno giudicati penalmente. Per il Crown Prosecution Service, si tratterebbe di mera “cattiva condotta professionale”. Starmer ha fatto anche sapere che “la legge non proibisce espressamente gli aborti sulla base del genere”.

Un anno fa il Daily Telegraph aveva mandato in incognito, munito di microfono e microspia, un suo reporter accompagnato da una giovane donna incinta. Dalla loro inchiesta era venuto fuori che un terzo delle cliniche britanniche, pagate dal governo, erano disposte a far abortire la donna perché il figlio non era del sesso desiderato. “Mentre nel Regno Unito la proporzione tra nati maschi e femmine è nella norma – ha spiegato il sottosegretario alla Sanità Earl Howe – E’ emerso che la proporzione è cambiata a seconda dell’origine della madre”. Anche il padre della legge inglese dell’aborto, Lord Steel, che nel 1967 si batté per introdurre l’Abortion Act e diede il via alle legislazioni abortiste in Europa, ha definito “ripugnante” l’aborto selettivo, chiedendo che venga messo al bando.

Da oggi, come denuncia anche l’icona liberal Amartya Sen, la civilissima Europa è più vicina alla draconiana politica demografica cinese. Figli unici, figli maschi, figli sani. 

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Giulio Meotti, 16 gennaio 2014 - ore 06:59

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