Sistemi elettorali e stabilità

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Tre proposte e molti dubbi

Il nostro Gian Burrasca, pardon, volevo dire il nostro vivacissimo Matteo Renzi, al momento minaccia burrasca sulla legge elettorale. Ha ragione. Una cinquantina di anni fa scrivevo che il sistema elettorale è lo strumento più manipolabile, e allo stesso titolo più decisivo, di tutto l’armamentario politico delle democrazie.

L’originalità del nostro Renzi è di proporre ben tre sistemi elettorali (l’uomo è generoso) che hanno un solo inconveniente: di essere tutti e tre sbagliati. Ma Renzi ha la parlantina facile, troppo facile per dargli il tempo di leggere e di informarsi. Però si è scelto un guru, Roberto D’Alimonte, che è guru perché vuole essere primo e anche solo, tra tutti i politologi italiani. Beninteso, lui è il più bravo. Sarà, ma forse non sarà. E veniamo alla sostanza.

Il primo sistema proposto da Renzi è il sistema spagnolo: piccole circoscrizioni che eleggono 5-6 rappresentanti il che implica di fatto un’alta soglia di sbarramento. I nostri specialisti propongono, in aggiunta, un premio di maggioranza che gli spagnoli non hanno e che insospettisce perché il troppo è troppo. Comunque è vero che il sistema spagnolo ha prodotto, fino a poco fa, un sistema bipartitico. Ma è così perché la contrapposizione a due c’era già: era una eredità della guerra civile che contrappose sanguinosamente una sinistra crudelmente dominata dai comunisti, a una destra franchista anch’essa macchiata di molto sangue, e si intende, anti-comunista.

Dunque alla morte del generale Franco una struttura bipartitica era fortemente radicata nella memoria storica della Spagna. Il che equivale a dire che non fu un prodotto del sistema elettorale. Pertanto non è vero che il sistema spagnolo importato in Italia produrrebbe un sistema bipartitico. Se il Grillismo reggerà, i partiti dominanti risulterebbero tre e così saremmo in uno stallo.

La seconda proposta sarebbe un ritorno al Mattarellum, cioè ad un sistema proporzionale puro, corretto però da un premio di maggioranza. Ma oramai abbiamo raggiunto un livello di frammentazione partitica che forse potrebbe non fare scattare nessun premio.

Resta la terza proposta che distingue il professor D’Alimonte da quasi tutti i cultori della materia e che il nostro inventore chiama «doppio turno di collegio». La denominazione fa confusione e confonde anche me. Comunque il punto che deve essere fermo e chiaro è che il doppio turno funziona a dovere solo se non consente coalizioni, solo se al primo turno ogni partito si deve presentare da solo. Detto per inciso questo è anche l’unico sistema che consente preferenze genuine degli elettori e che allo stesso tempo assicura in ogni caso gover- nabilità. Di questo ho già scritto in un libro e varie volte sulle colonne del Corriere . Non mi posso sempre ripetere. Ma vedi per tutti l’articolo Tanto semplice che non si farà del 20 ottobre 2012.

Ma se Renzi mi leggesse (solo su questo punto, per carità) forse eviterebbe gli errori che sta per fare o far fare. Un buon sistema elettorale non è un sistema approvato da tutti. Questa è pura demagogia. È un buon sistema quello che riduce i piccoli partiti e che ovviamente i piccoli partiti avversano fino all’effusione del sangue. Come, per esempio, il doppio turno possibilmente collegato ad un semipresidenzialismo come da tempo praticato con successo in Francia. Ancora un punto. Tutti ripetono che la legge elettorale non basta. Sì e no. Può bastare a produrre governabilità, certo non basta a produrre buoni governi che governino bene. Come è ovvio.

Il Corriere della Sera, 18.1.2014 , prof. Sartori