La rivolta dei campieri. Così i feudatari di Forza

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 Italia assediano di noia il Barone d’Arcore

“Gli siamo fedeli, ci deve ascoltare”, si lamenta Fitto. “Organismi normali”, chiede Gasparri. L’asse di Segrate

Nessuno mette in discussione il Barone di Arcore, ma la segreta ambizione d’ogni campiere è quella di diventare sovrastante, ruolo che un tempo fu di Angelino Alfano. E dunque nel feudo di Forza Italia i guardiani delle terre si agitano e si alleano tra loro, Raffaele Fitto dalle Puglie, Nicola Cosentino dal mezzogiorno napoletano guardano ancora con sospetto Giovanni Toti, mentre anche in Sicilia s’ode come un rullio di tamburelli, e a Roma, tutt’intorno al Castello, un bofonchiamento affiora qua e là: “Bene le novità, ma ci vuole anche rispetto per chi c’era prima. Piaccia o non piaccia a Berlusconi questo è un partito. E ci vogliono organismi, incarichi, centri di controllo e di decisione come nel Pd”, dice al Foglio Maurizio Gasparri. E ciascuno è preoccupato dalla vaghezza misteriosa del Cavaliere, tornato ieri ad Arcore dopo la dieta nell’albergo sul lago di Garda e pronto oggi a prendere di nuovo possesso di Castello Grazioli, a Roma, con Toti, Dudù e Francesca.

I campieri si turbano o si allietano per cose delle quali al Cavaliere non importa nulla, ma che per loro sono vitali perché poste in rapporto con il loro patrimonio di speranze e timori di classe, di ceto politico. “Gli siamo fedeli, ma ci deve ascoltare”, si lamenta Fitto, mentre Cosentino ha fondato la sua Forza Campania, un partito nel partito, che già suona come una mezza rivolta, o come un’allusione minacciosa alla ribellione. Estranei alla politica come produzione di idee, o semplicemente d’illusioni e suggestioni, ma attenti al valore del potere, degli equilibri interni e della politica intesa come roba, come insediamenti e come tessere, i campieri appaiono agli occhi di Berlusconi (e dell’asse Mediaset cui appartengono Toti e Fedele Confalonieri) come un circolo Pickwick provinciale, i cui soci palleggiano tra loro invidie, rancori, timori, frottole come si conviene a una classe che fa scarso consumo di idee generali. “Spiriti angusti”, dicono a Segrate. E Berlusconi vorrebbe stare al riparo da queste spartizioni e dai giochi di corrente, dal rancore e dalle trivialità della politica locale, dai falsi sospiri, dalla deliquescenza della clientela provinciale. Ma i campieri gli sono anche necessari. Professori e venditori, pubblicitari ed esperti, fabbricatori di idee e di suggestioni, uomini di televisione e giornalisti, trottatori infaticabili come Renato Brunetta, con tutte le loro virtù, non bastano ad aiutare il Cavaliere ambizioso a salire le sdrucciolevoli scale del potere, i cui alti gradini sono composti da voti e consenso raccolti anche col metodo feudale dei campieri, guardiani delle terre e nemici del pascolo abusivo: se un bovaro s’azzarda a varcare il confine del feudo, a rubare due pere o una manciata di fave, i campieri arrivano armati di verga. E sono lividi.

La clientela meridionale e l’itterizia

Berlusconi si è sempre annoiato negli ambulacri della clientela meridionale, di cui pure si è spesso servito. “La sola parola partito mi fa venire l’itterizia”. Eppure, queste cose che Berlusconi si è detto, o ha detto, molte volte e molto sul serio, non gli impediscono adesso di trattare l’istituzione partito con qualche esterna deferenza. “Quei voti ci servono”, dice il Cavaliere. E come ricorda Gianfranco Rotondi: “Berlusconi non ha mai lasciato indietro nessuno, pur di non perdere mezzo punto percentuale in un’elezione”. E dunque persino lui, il Cavaliere con l’itterizia, sembra voler venire a patti con l’intendenza feudale che vorrebbe farsi partito vero e non più di platica. Fa la voce grossa con Cosentino, accontenta – dicono – la sua fidanzata Francesca, ma Berlusconi di nascosto porge anche una mano al suo riottoso feudatario. E dunque tratta, prende tempo, accetta il borbottio. “La politica è anche fatta di piccole cose anguste, ma per questo bisogna decidere e chiudere la partita”, incalza Mariastella Gelmini. “Capisco la stanchezza di riti che possono sembrare superati. Ma all’eterna discussione si risponde costituendo organismi normali, un ufficio di presidenza, una segreteria, come fanno le altre formazioni politiche. Ne stiamo già parlando, con Matteoli, con Fitto e altri amici”, aggiunge Gasparri. E Berlusconi, quando gliene parlano – oggi a Roma li riceverà – riesce a occultare l’afflizione senza rimedio che gli provocano la contabilità delle chiacchiere e la ripartizione precisa degli incarichi, nella sua Forza Italia come in Parlamento. Voltaire ha notato che l’ateo è uno dei pochi che in chiesa non cava la tabacchiera. E dunque il Cavaliere sorride, ascolta, osserva, con un distacco in cui veramente non c’è alcun sottinteso di presunzione, solo una noia necessaria.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo28 gennaio 2014 - ore 06:59,