Rondolino: il pericolo per Renzi? Viene dal Pd

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Vogliono governare ma dall’opposizione

Da queste colonne, martedì scorso, proprio nelle ore in cui Matteo Renzi stava cominciando a sfiduciare Enrico Letta, Fabrizio Rondolino, analista politico e firma di Europa, s’era augurato che il segretario Pd non rinnegasse la sua personale tradizione: quella di procedere sull’onda del consenso, dei gazebo o delle urne che fosse. Ma già in quella conversazione, oltre all’elenco delle controindicazioni, emergeva il sentore che la storia fosse già scritta. «Il leader è lui», aveva commentato Rondolino, «se cambia idea, la cambia. Farà comunque meglio di chiunque altro».

Domanda. Rondolino, se lo aspettava, dica la verità...

Risposta. No, anzi. Ho sperato fino all’ultimo che non cedesse ma, in quella frase, c’era il nòcciolo della questione: il leader, l’unico vero leader in circolazione, è proprio il sindaco di Firenze.

D. Parrebbe che anche molti renziani nativi siano oggi un po’ mogi e delusi.

R. Comprensibilmente, ma devono farsi passare i mal di pancia, prenderne atto e sperare che le cose vadano come Renzi si immagina.

D. Oggi (ieri per chi legge, ndr) pare che tutti gli osservatori abbiano fatto macchine indietro. Nessuno gliela perdona...

R. Rassegna stampa catastrofica, pesante. Non c’è nemmeno l’effetto luna di miele che scatta, anche in giornali non propriamente amici, per i nuovi premier. No, niente. C’è l’accanimento nel dipingere tutto come manovra di Palazzo.

D. Già, ma secondo lei, un segretario plebiscitato da un freschissimo congresso, che sfiducia il presidente del consiglio in una direzione a porte aperte grazie allo streaming, può passare per un congiurato?

R. Lo so, ma prevale la questione della coerenza e della ricerca del potere.

D. E adesso che succede? Diciamo, che la partenza sarà delicatissima: c’è da parlare dritto agli Italiani, coi fatti.

R. Una sfida notevole perché, per fare le cose che Renzi vuol fare e che conosciamo, ci vorrebbe un’investiture diretta, quella cioè che ti dà quel propellente capace di durare. Scegliendo questa nuova via, il segretario Pd arriva all’appuntamento atteso ma a mani nude.

D. Ma c’è stata la vittoria nel congresso...

R. Sì, certo, lo ha stravinto con le primarie, aveva in poppa il vento dei sondaggi, però il consenso di un’elezione è un’altra cosa. Ammettiamolo.

D. Cosa deve fare nei primi 100 giorni, una formula a cui Renzi stesso è molto affezionato?

R. Intanto registro una cosa: i 100 giorni coincideranno, più o meno, con la fine campagna elettorale per le europee. D. Secondo lei è stata decisiva questa incombenza? R. Sì, perché Renzi ha visto questo scenario: Beppe Grillo trionfare alle europee, fatto che si sarebbe abbattuto come un maglio sul governo e sulla maggioranza che lo sosteneva.

D. E poi ci sarebbe stato il semestre europeo a sospendere tutto...

R. Esatto, il segretario avrebbe dovuto tenere il Pd per più di un anno a far la guardia di un sistema sempre più paralizzato, screditato e inefficiente.

D. Il Palazzo affonda nella palude mentre il Paese sprofonda, come ha detto Renzi in direzione...

R. Esatto. Perché mentre noi e i nostri colleghi ci attardiamo nei riti eterni dell’analisi, là fuori ribolle la rabbia del ceto medio e la protesta sociale sale. La fretta di Renzi è l’urgenza dell’Italia.

D. Ma torniamo ai cento giorni. Innanzitutto si tratterà di nominare i ministri. Circolano nomi che sarebbero stati candidati alla rottamazione fino a poco fa...

R. Al totoministri non partecipo. Sono quei riti da Transatlantico, basati sul verosimile più che sul vero, in genere si alimentano castronerie. Certo Renzi dovrà scegliere una compagine all’altezza, possibilmente senza facce vecchie o del precedente esecutivo, fermo restando che sarà un governo di larghe intese.

D. E poi?

R. Per come è fatto il sistema italiano, cento giorni sono appena sufficienti a dettare una bella agenda, un programma di legislatura che dia il senso del cambio di passo. Oltre ovviamente a fare la riforma elettorale. Certo, Renzi deve dare netta l’idea che non si è trattato di una manovra opaca, come l’ha definita il Corriere.

D. Da dove arriveranno i pericoli più grossi?

R. Dal Pd, come sempre.

Italia Oggi, Di Goffredo Pistelli . 17.2.2014