Fine del piagnisteo. La crisi è finita

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Il debito c’è, promette bene. La disoccupazione è ancora lì,

gli annunci roboanti e giovanilistici prevalgono sulle cose fatte, ma la percezione è che con il bamboccio al potere il più è fatto

La crisi è finita. Poche settimane e qualcosa è davvero cambiato. La macchina si è rimessa in moto, gli effetti psichici del tentato suicidio del 2013 sono riassorbiti. Una maggioranza c’è ed è solida, in grado di riservare un ruolo e persino una certa lucentezza ai suoi leader al governo. L’opposizione repubblicana occupa il campo che le compete con dignità e coerenza, il suo leader continua a fare serenamente e lealmente da sponda, da interlocutore responsabile. L’altra opposizione, che ha portato otto milioni di persone dal nulla al vuoto, ora torna sui suoi passi, dal vuoto al nulla. Questo non esclude nuove imboscate, agguati, sacche di resistenza, in fondo abbiamo anche noi tante giungle dove si rifugiano quelli che non accettano la sconfitta. E non farà smettere il cicaleccio che di solito accompagna chi non canta nel coro. Ma il fronte nemico ha perso: la guerra è finita, “ha terminado”. L’intesa repubblicana terrà anche al Senato. E non è detto che alle europee, occasione in cui pure si dà libero sfogo a chiunque, gli elettori debbano premiare necessariamente chi urla di più, chi spara palle più grosse, gli ubriachi insomma.

E’ vero che vivremo per un po’ con un modello istituzionale sghembo, avvitato come una scala di Escher, ma chi ha in memoria tutto quello che è successo nei quasi cinquanta anni, dalla commissione Bozzi in poi, in cui la politica ha pensato bene di cambiare e non cambiare insieme la forma dello stato, non può che ammirare cotanto spirito d’iniziativa e il cammino fatto in poche settimane. Si sta dunque diffondendo la percezione di un movimento virtuoso, che non ha tavoli, non cede al richiamo mortifero della concertazione e sembra potere prendere per le orecchie i pezzi da novanta del pubblico impiego fin qui intoccabili. Se il premier fa il premier e il governo governa, e gli annunci sono roboanti, questo conta ora, perché è fatto di donne e uomini tosti, giovani e meno giovani, che non ci stanno a vedere naufragare le loro legittime ambizioni personali, chi mai si prenderà la responsabilità di interrompere una normalità e un’efficacia perseguite così, con tanta veloce leggerezza? Non è il cane che si morde la coda, è il buon senso che comunque premia chi vuole darsi una mossa, dopo tante promesse rimaste lettera morta.

La bonaccia sembra essersi estesa anche alle acque dell’economia. Tecnicamente l’Italia non è ancora uscita pienamente dalla recessione, la disoccupazione che è sfalsata di dodici, diciotto mesi rispetto al ciclo economico in senso stretto, cresce ancora. Ma i fremiti di ripresa, fondati come sempre su un immenso debito, fragili e paradossali, ci sono, si avvertono nella fine del piagnisteo, nella persistenza inerte, triste, della chiacchiera giornalistica, ma a vuoto. Qualcuno ricorda che dal prossimo gennaio e per venti anni l’Italia dovrà versare 50 miliardi l’anno per rispettare il trattato sul Fiscal compact: ma il debito pubblico non funziona né come zavorra materiale né come spauracchio culturale, il paese è su quel piano inclinato da tanto ed è sempre rimasto in piedi, ci convive come fece con l’inflazione a due cifre. Ci sentiamo, giustamente, debitori onorati e rispettabili, ricchi dentro – e sotto – in ogni caso solvibili. E poi a placare l’ansia, c’è l’avanzo primario di cassa, lo spread che scende, le esportazioni che tirano e le imprese che lavorano per l’export, e assumono. Non basta certo, ma non s’è mai visto un malato grave alzarsi dal letto e vincere le olimpiadi. Ma il bamboccio al potere è percepito da noi ex piagnoni come una garanzia di salute in sé, e la percezione è quasi tutto in economia. Contro i nemici di fuori e le voci di dentro.

FQ. di Lanfranco Pace, 13 marzo 2014 - ore 06:59