LA RETE DEI TUNNEL Dove I PALESTINESI DI HAMAS

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SI MUOVONO LUNGO LA STRISCIA DI GAZA E DI

INFILTRARSI PER DARE L’ASSALTO AI KIBBUTZ D’ISRAELE - 2. IN CEMENTO ARMATO, LUNGHI FINO A 4 KM, CON ARIA CONDIZIONATA E LUOGHI PER DORMIRE, SONO TUNNEL CHE PARTONO DA DENTRO CASE ED EDIFICI - PER SFUGGIRE AI DRONI - E SCENDONO ANCHE AD UNA PROFONDITÀ DI 30 METRI SNODANDOSI FINO A 4 KM DI LUNGHEZZA - 3. SPEGA L’EX GENERALE OMER BARLEV: “IL PROBLEMA DEI TUNNEL NASCE DAL FATTO CHE L’ESERCITO ISRAELIANO NON HA ANCORA IDENTIFICATO LA TECNOLOGIA CHE CONSENTE DI INDIVIDUARLI A DISTANZA. ECCO PERCHÉ NETANYAHU HA LANCIATO L’OPERAZIONE DI TERRA” - 4. CRESCE IL BILANCIO DI VITTIME: FONTI PALESTINESI PARLANO DI 550 CIVILI MORTI, 3350 FERITI -1. FOTO MAI VISTE:

Maurizio Molinari per “La Stampa”,  22.7.2014

Hamas si infiltra dai tunnel per dare l’assalto ai kibbutz d’Israele. L’attacco avviene alle prime ore del mattino, quando due gruppi commandos escono dal terreno, quasi contemporaneamente, nei pressi di Erez e Nir Am. Sono missioni suicide. L’obiettivo è uccidere militari e civili israeliani ma Mohammed Deif, capo delle Brigate Qassam, ha anche chiesto la cattura di ostaggi.

Uno dei due gruppi viene individuato dalla sorveglianza aerea ed è un F-16 che elimina almeno dieci membri di Hamas, l’altro commando invece riesce a infiltrarsi e lancia un rudimentale missile anti-tank contro una jeep di soldati. Le vittime sono quattro prima che le unità speciali di Tzahal intervengano eliminando gli aggressori. La battaglia dura almeno due ore.

Il comandante del fronte Sud, generale Sami Turgeman, ordina la chiusura dell’intera fascia di territorio compresa fra la strada 232 e il confine di Gaza, estendendo l’off-limits al kibbutz di Yad Mordechai, poco più a Nord. Si tratta della regione del Sud di Israele più vulnerabile alla minaccia dei tunnel.

Nel pomeriggio a Nir Am si riuniscono i responsabili della sicurezza dei kibbutz già colpiti dalle infiltrazioni terroristiche o che ne sono minacciati: Erez, Alumim, Kisufim, Keren Shalom, Ofakim, Ein Shloshà. Si tratta dei rappresentanti di migliaia di abitanti a cui Turgeman presenta una descrizione dettagliata della guerra ai tunnel di Hamas.

«Da quando abbiamo iniziato l’operazione Protective Edge - spiega Arye Shalicar portavoce militare - ne abbiamo identificati 18 con altrettanti punti di uscita in Israele e 50 punti di entrata dentro la Striscia di Gaza».

LA RETE DI TUNNEL

Sono tunnel che partono da dentro case ed edifici - per sfuggire ai droni - soprattutto a Beit Hanun, Baiyt Lahiya e Shejaiya - e scendono anche ad una profondità di 30 metri per raggiungere Israele snodandosi fino a 4 km di lunghezza. Uno dei tunnel scoperti ieri arrivava ad appena 1 km da Sderot, la città più vicina al confine.

«Ogni tunnel è realizzato in cemento armato, dentro ha l’aria condizionata e luoghi per dormire - aggiunge Shaicar - in maniera da contenere gruppi di terroristi, mettendoli in grado di colpire di sorpresa, in profondità, fra le comunità civili». Fra le considerazioni che Turgeman condivide con i kibbutz più a rischio c’è quella sulle «migliaia di ore di lavoro di cui Hamas ha avuto bisogno per creare questi tunnel impiegando probabilmente centinaia o migliaia di persone».

Dopo il tramonto scatta un altro allarme, fra Zikim e Yad Mordechai. Nel kibbutz di Or Ha-Ner a coordinare la protezione dalla minaccia dei tunnel è Edy Polonsky, 50 anni, immigrato nel 1979 da Buenos Aires, le cui mansioni sono gestire 300 mucche da latte. Di giorno ognuno fa il proprio lavoro nel kibbutz e siamo tutti armati - dice Polosky - e di notte abbiamo le pattuglie che perlustrano il territorio, il pericolo di infiltrazioni terroristiche è costante ma siamo determinati a difendere questa terra, perché non ne abbiamo un’altra».

Poco distante, nel kibbutz di Givim, a svolgere mansioni analoghe è Yair Harari che si sofferma su un altro aspetto della «costante minaccia di essere attaccati» ovvero «la necessità di dare assistenza psicologica a chi ne ha bisogno, a cominciare dai più piccoli». Davanti a ogni cittadina campeggiano manifesti biancoazzuri - i colori nazionali - con la scritta «Forti nelle retrovie, vincenti sul fronte».

Il ministro della Giustizia Tzipi Livni si trova in visita a Ein Shloshà quando un razzo le cade a pochi metri di distanza. A Givim c’è Omer Barlev, ex comandante delle truppe scelte della Sayeret Matkal che dipendono dallo Stato Maggiore, secondo il quale «il problema dei tunnel nasce dal fatto che l’esercito non ha ancora identificato la tecnologia che consente di individuarli a distanza».

Barlev, ex generale, conosce bene l’argomento: «Hamas ha due tipi di tunnel, quelli lunghi per raggiungere Israele e quelli corti per spostarsi dentro Gaza, in entrambi i casi costruiti con il cemento armato».

Al suo fianco Micky Rosenthal, deputato laburista aggiunge: «Il premier Benjamin Netanyahu non voleva lanciare l’operazione di terra, se lo ha fatto è perché gli hanno mostrato le prove delle infiltrazioni dei terroristi attraverso i tunnel. Non ha avuto scelta. Stiamo combattendo per difendere i nostri civili».

Questo spiega perché il sostegno a Protective Edge aumenta nonostante l’alto numero di caduti: con i 7 di ieri siamo a 25 in cinque giorni di operazioni ovvero un ritmo di perdite più alto dell’ultimo conflitto in Libano contro Hezbollah. A dare il polso del consenso è Paola Cantore, genovese residente a Tkuma da 30 anni: «Viviamo barricati, temiamo i razzi dal cielo e i terroristi che sbucano dalla terra».

Per Hamas le incursioni in Israele sono «una vendetta per i morti di Shejaiya» del giorno precedente. La conferma della scelta di restare all’offensiva viene dai 50 razzi lanciati su Ashdod, Ashkelon e Tel Aviv.

LA FAMIGLIA STERMINATA

Dentro la Striscia si combatte e cresce il bilancio di vittime: fonti palestinesi parlano di un totale di 550 civili morti, 3350 feriti. A Deir el-Balah un tank israeliano investe con i propri colpi l’ospedale Al Aqsa, causando almeno 4 morti e 60 feriti mentre a Gaza è un raid aereo che uccide 9 componenti della stessa famiglia.