Occhio, l'apertura della Cgil è solo un bluff

Categoria: Firme

A volte si ha la sensazione che i leader sindacali vivano

 in un universo parallelo

Giampaolo Rossi - Ven, 15/08/2014 - 09:29

Accade che, in una strana estate piovosa, ti imbatti in una «lettera al Direttore» sul Corriere della Sera , scritta da Susanna Camusso, la leader pasionaria della Cgil.

La lettera, lunga e verbosa come solo i sindacalisti sanno essere, attacca a spada tratta qualsiasi ipotesi di revisione dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Nella lettera, la sindacalista riconosce che lo Statuto avrebbe bisogno di "una messa a punto", ma da dedicare all'allargamento delle tutele del lavoro precario, dal giusto salario agli ammortizzatori sociali universali.

Ora, il punto non è che la Camusso non voglia toccare l'art. 18; sarebbe come chiedere ad un alcolista di parlare male del vino. Il punto è capire che idea il sindacato ha di questo paese e, soprattutto, di quali ricette pensa ci sia bisogno per cercare non di uscire da questa crisi, ma perlomeno di metterci il naso fuori. A occhio e croce, per la Camusso le ragioni della crisi sono «il grande debito pubblico», «la penuria di investimenti privati e pubblici», la scarsa competitività delle nostre imprese «troppo piccole e spesso incapaci di produrre innovazione» e una «Pubblica Amministrazione impossibilitata ad essere amica» di tutti noi.

Ora, lasciamo stare che quando parla di debito pubblico alla Camusso non viene in mente di accennare cosa lo produce: e cioè, il troppo Stato e l'eccessiva spesa pubblica (difesa dal sindacato).

Ma siccome le parole hanno spesso un significato inconscio nel momento in cui vengono pronunciate, è curioso notare gli aggettivi usati dalla Camusso: le imprese sono «incapaci», mentre la Pubblica Amministrazione "è impossibilitata"; insomma, se le nostre aziende ed il tessuto produttivo delle piccole e medie imprese, fulcro del nostro Pil, non sono più competitivi la colpa è solo loro, non di uno Stato che uccide con un carico fiscale insopportabile e con una burocrazia che vanifica qualsiasi possibilità di trasformare una spinta imprenditoriale in realtà; al contrario, se la Pubblica Amministrazione non funziona, è elefantiaca e per questo ha «un impatto negativo devastante sull'economia» (parole del Presidente della Corte dei Conti un anno fa), la responsabilità è degli altri e non di un mondo troppo garantito in questi anni proprio dal sistema sindacale.

Non solo, ma nella sua omelia, la Camusso è arrivata a spiegare che il disastro sociale ed economico dell'Italia è colpa "dell'ideologia che in nome del laissez-faire ha prodotto assenza di regole ed eccesso legislativo nel mercato del lavoro". Ma chiunque cerchi di produrre qualcosa a casa nostra sa bene che sono le troppe regole a rendere impossibile un rapporto sano fra impresa e lavoro.

A volte si ha la sensazione che i leader sindacali vivano in un universo parallelo. Ascoltarli è come ritrovarsi con un Tirannosaurus Rex per le vie di Milano; ha un senso provare a parlarci e a spiegargli che è fuori contesto? Ovviamente no, l'unica cosa è cambiare strada e sperare che non ti veda.

Ma che la Camusso e la Cgil assomiglino a brontosauri lo dimostra la fine della sua lettera. Mentre in Italia le imprese chiudono, gli imprenditori muoiono in tutti i sensi, il lavoro si perde nella follia di uno statalismo che non difende i produttori di ricchezza, la Camusso scrive che «è urgente una rivoluzione: dare applicazione agli articoli 39 e 46 della Costituzione», quelli relativi alla libertà del sindacato e alla sua gestione delle aziende. Una follia. La realtà è che questo sindacato fuori dalla storia, ormai delegittimato dalla perdita di iscritti e rappresentativo solo di se stesso, sta cercando disperatamente di ritrovare un minimo di agibilità politica. La falsa apertura sullo Statuto dei lavoratori è solo un modo per dire a Renzi: «Ehi, ricordati che ci siamo anche noi, visto che l'Italia se n'è dimenticata». A forza d'immobilismo, il sindacato rimarrà a difendere privilegi e garanzie in un'Italia senza più lavoro.

@GiampaoloRossi