Le dimissioni di Bonanni sono la spia della crisi

Categoria: Firme

del sindacato

di Sergio Soave 

Le dimissioni di Raffaele Bonanni, anticipate di qualche mese sulla scadenza anagrafica prevista dallo statuto della Cisl, coincidono con un momento di eclissi particolarmente evidente del ruolo del sindacato. Lo ha rilevato onestamente lo stesso Bonanni, che ha ammesso di non essersi mai trovato «in una situazione in cui le rappresentanze sindacali fossero tanto poco considerate». Il dato che ora appare più evidente è la decisione dell'esecutivo di affrontare il tema della riforma del mercato del lavoro senza interpellare prima i sindacati del lavoro e dell'impresa. Però è forse ancora più rilevante il fatto che l'aumento salariale più rilevante dell'ultimo quinquennio è stato deciso unilateralmente dal governo con la famosa operazione degli 80 euro. Un sindacato che non è più il principale agente salariale né l'interlocutore privilegiato nella definizione delle relazioni industriali, come appare oggi anche di fronte ai milioni di aderenti, si trasforma sempre più in una sorta di agenzia parastatale che eroga servizi parafiscali (con l'aggravante di una colossale presenza di «distaccati» dalla pubblica amministrazione) oppure, e nel caso della Cgil insieme, in una centrale di agitazione politica, peraltro capace di promuovere mobilitazioni di piazza anche massicce ma incapace di incidere in modo significativo sull'orientamento elettorale dei suoi stessi aderenti. Questa è la realtà che rischia di travolgere, insieme alle velleità antagonistiche, per loro natura minoritarie, del sindacalismo «di classe», anche la ricerca di soluzioni concertate in uno spirito di collaborazione che è stata la cifra dell'esperienza sindacale di Bonanni.

Eppure per la gestione concreta di una trasformazione razionale del sistema delle relazioni industriali, come quella che appare indispensabile, una qualche agenzia in grado di trasmettere capillarmente il senso dell'innovazione e di contrastarne eventuali usi prevaricatori, risulta essenziale. In particolare lo spostamento in basso, verso le imprese e i territori, del negoziato per la produttività richiederebbe più sindacato, non meno. Però il sindacato che serve è diverso da quello che c'è, assomiglia più a quello che proprio Bonanni si proponeva di creare piuttosto che a quello che è riuscito a realizzare, anche per il clima difficile in cui ha dovuto operare. Resta il fatto che lascia ai suoi successori, insieme a una situazione difficile da sormontare, anche una eredità di idee, di responsabilità e di buon senso sulle quali sarà forse possibile ridefinire una funzione sindacale moderna, che, pur senza esuberanti diritti di veto, resta un ingrediente essenziale di ogni dialettica democratica.

Italia Oggi, 27.9.2014