La grande rimozione. Socialisti, e non a loro insaputa.

Renzi, Piccolo e gli altri. Origine e follie di una Damnatio

memoriae

di Guido Vitiello | 01 Novembre 2014 ore 06:30 IL Foglio

L’arte del fotoritocco totalitario ha prodotto tanti di quei capolavori che si dovrebbe farne un museo. Nell’ala “Surrealismo” si potrebbero esporre le mani di Karl Radek, che continuavano a dimenarsi, staccate dal corpo del loro proprietario, nel filmato di un congresso della Terza Internazionale: la censura di Stalin aveva tentato di cancellare ogni traccia dell’ex dirigente bolscevico, dopo le Grandi purghe, ma era stata tradita da quel dettaglio rivelatore (lo notò, e ne scrisse, Franco Fortini). L’ala “Realismo magico” potrebbe invece inaugurarsi con una sequenza di fotografie della Rivoluzione cubana, tre versioni successive della stessa immagine. Nella prima, Fidel Castro parla animatamente accanto a Carlos Franqui e ad Enrique Mendoza. Nella seconda, Franqui è scomparso; nella terza, non c’è più neppure Mendoza, e tutto quel che resta è un rincoglionito a bocca aperta che gesticola da solo davanti a un muro. Forse facevano prima a cestinarla.

Questo bestiario iconografico mi è tornato in mente, fatte le debite proporzioni, riflettendo sulla strana rimozione dei socialisti in Italia. Non parlo della rimozione forzata dalle strade della storia repubblicana per opera del gioioso carro attrezzi della Procura di Milano, no; parlo della loro cancellazione dalla memoria di ciò che è accaduto prima del 1992. “Damnatio memoriae” spietata, fino ad anni recenti; oggi più blanda, ma ancora generatrice di abbagli e miraggi retrospettivi. Per molti, il solo vestigio di quella lunga storia è lo spettro del decisionismo craxiano, che aleggia sulla scena pubblica come le mani di Radek, posandosi di volta in volta sulla testa del malcapitato che bisognerà impallinare a colpi di resistenza e Costituzione. Tutt’intorno, l’amnesia: a volte inconsapevole, spesso deliberata.

Alla prima categoria appartiene probabilmente lo sproposito di Renzi alla Leopolda, quando ha detto che la sinistra non votò per lo Statuto dei lavoratori; omettendo che un partito di sinistra, il Psi, quello Statuto non solo lo aveva votato, ma lo aveva anche concepito e proposto. Ma le facili ironie sul giovanotto scarso in storia rischiano di far dimenticare che pochi anni prima lo stesso scherzo lo aveva fatto Cofferati, dal fronte opposto. E l’amnesia, in quel caso, era deliberata. Nel comizio del Circo Massimo del marzo 2002, spesso evocato in questi giorni, l’allora segretario della Cgil ricordò la legge del 1966 sui licenziamenti senza giusta causa citando le parole del “compagno Ugo Spagnoli”, comunista, che a sua volta elogiava i princìpi cattolici della dignità della persona. I tre milioni di manifestanti avranno pensato che la legge fosse nata dalla collaborazione tra i futuri eroi del compromesso storico. Del Psi, neppure la menzione. Se ne accorse Giuseppe Tamburrano, che denunciò al Corriere della Sera la “rimozione dei socialisti dalla storia”.

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