L’ostia ai conviventi? La chiesa ha aperto una porticina

Categoria: Firme

Ci sono buone famiglie cristiane anche al di fuori del

matrimonio. E “l’eucaristia non è un premio destinato a chi è perfetto”. L’abbraccio evangelizzante di Francesco e le paure di una capitolazione sulle nozze gay

di Matteo Matzuzzi | 09 Novembre 2014 ore 06:30 Foglio

Giuseppe Leone, in un'immagine tratta dal libro fotografico “Il matrimonio in Sicilia”, edito da Sellerio

Carissima, probabilmente non sei al corrente della dottrina della chiesa sull’ammissione alla Santa Comunione”. Rispondeva così, qualche tempo fa, un padre domenicano alla domanda disperata di una giovane che s’era vista negare l’ostia dal prete che la stava preparando – assieme al fidanzato – al matrimonio. “Si è rifiutato di darci l’eucarestia, rispedendoci a posto. Nessuna spiegazione, né prima né dopo. Il mio ragazzo c’è rimasto molto male, ha addirittura pianto. Ha detto che avrebbe almeno potuto dirci due parole prima della funzione”. Certo, spiegava la ragazza in questione, “io e il mio fidanzato conviviamo”, ma il fine ultimo cui tendiamo è quello messo nero su bianco da Marco nel suo Vangelo, “l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola”. Dopotutto siamo buoni cristiani, abbiamo buoni propositi, siamo fedeli l’uno all’altra, andiamo a messa e seguiamo l’iter di preparazione al matrimonio sacro come dispone la Bibbia. E allora perché le porte vengono sbattute in faccia, nonostante da un anno e mezzo il vicario di Cristo in Terra, Francesco, dica sui giornali, in omelie e discorsi che quelle porte vanno spalancate perché tutti possano entrare nella chiesa ospedale da campo? Dov’è che Gesù ha detto che i conviventi sono esclusi, reietti da confinare in un limbo di peccato? Tutti vanno accolti, dice il Papa. Nessuno escluso. Soprattutto quanti hanno ferite da curare dopo la battaglia. Piaghe da sanare “partendo dal basso”, ammoniva tempo fa Bergoglio, raccomandando di evitare di rinchiudersi in “piccoli precetti” come fanno i sapienti e gli zelanti, gli scrupolosi e i premurosi da lui fraternamente rimproverati a conclusione del Sinodo sulla famiglia, tre settimane fa. Non è questione di dottrina, salvata dai refoli novatori che, interpretandola come un magma in lento movimento, volevano svecchiarla e adeguarla ai tempi correnti per “farla capire meglio” agli uomini e alle donne del secolo Ventunesimo. Quello che ha detto Cristo non si tocca, spiegano un po’ tutti, e anche al Sinodo – al netto delle appassionate ed effervescenti dispute tra i padri – s’è chiarito che il vincolo indissolubile era e indissolubile rimane, e che l’uomo non può dividere ciò che Dio ha unito.

Ma gli altri? C’è una differenza tra i divorziati risposati, cioè tra coloro che hanno spezzato il vincolo sacramentale di natura divina contraendo un nuovo matrimonio civile – che per la chiesa è nullo – e chi s’è fermato prima, a un passo dal sacramento, dando vita a una sorta di chiesa domestica costruita sull’amore illuminato dalla fede? Si prenda il caso di due conviventi, che stanno insieme con amore reciproco da trent’anni, vicendevolmente fedeli, con figli e nipoti, cristiani: dove sta scritto che non possono accostarsi all’eucaristia? Il punto è che – spiegava il padre domenicano – non si può dare la comunione a chi “ostinatamente persevera in peccato grave manifesto”, e chi convive comportandosi come se si fosse tra marito e moglie rientra in quella fattispecie. “La convivenza ha anche la relazione sessuale tra le sue componenti, e questa è al di fuori del progetto di Dio e lo svuota del suo vero significato”. Non c’è altro da aggiungere. I rapporti prematrimoniali sono menzogneri, una bugia. Lo diceva perfino il Papa da poco santo, Giovanni Paolo II, protettore della famiglia. E con lui una serie infinita di norme e codicilli, capoversi e paragrafi del codice di diritto canonico, citazioni di versetti tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento. Ma questa è una logica totalmente estranea all’abbraccio evangelizzante di Francesco, pronto a scendere a patti con il mondo pur di salvare chi sta nella periferia più lontana, osservava qualche giorno fa sulla Croix Jean-François Chiron, professore all’Università cattolica di Lione: “Bisogna ricordarsi di quello che il Papa ha detto e scritto”, e cioè che “l’eucaristia, anche se costituisce la pienezza della vita sacramentale, non è un premio destinato ai perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.

  I bergogliosi “Chiariamo subito, la questione è piuttosto complicata”, dice il teologo d’avanguardia Andrea Grillo. Il fatto è che la chiesa ha bisogno di ripensare le proprie categorie. Il matrimonio sacramentale ha una costruzione antica e nobile, ma che oggi non ha più corrispondenza immediata nella società in cui viviamo. Certo, il matrimonio sacramentale è ancora oggi il punto di arrivo ideale e ordinario, ma oggi tutto è molto più complicato. E’ interessante notare come anche nel dibattito sinodale molte posizioni si siano rifugiate in quello che definirei massimalismo, e cioè che solo il massimo del bene è bene, mentre tutto il resto è male. Ma già san Tommaso sapeva che ci sono livelli della realtà in cui può essere bene perseguire anche il male minore, e penso che questa logica vada riscoperta”. Nessuno mette in dubbio che ciò che Dio ha unito non si può dividere, ma “la Parola di Dio non definisce in modo dettagliato che cosa dobbiamo intendere con ciò che ‘Dio ha unito’, rispetto a ciò che ‘l’uomo non deve separare’”. Anche chi forma una coppia di fatto, dopotutto, si unisce in un vincolo, seppur non sacramentale. Solo che al tempo di Cristo il fenomeno non esisteva: “Infatti le categorie con cui ragioniamo oggi si sono formate in assenza di queste esperienze. Quando il modello di famiglia è cambiato, la volontà di vederlo come frutto del peccato è stata fortissima, e non è che oggi le cose vadano meglio”, aggiunge Grillo, per il quale “c’è la tentazione di mantenere un modello rigido di matrimonio sacramentale, mentre tutto il resto estraneo a esso è da condannare”.