A furia di non voler vedere i violenti si finisce poi

Categoria: Firme

per diventarne vittime

 di Pierluigi Magnaschi, Italia Oggi, 13.11.2014 

La storia si ripete. E quasi sempre in peggio, purtroppo. Era già successo con le Br che, ai loro esordi, venivano negate come esistenti (al massimo, erano nere), e poi, quando cominciarono a usare le P38 contro poliziotti, politici e magistrati, venivano descritte, da sinistra, come composte da «compagni che sbagliano» e solo quando cominciarono ad ammazzare anche i sindacalisti, si convenne che erano proprio le Brigate rosse e che, indipendentemente dal colore che esse si erano date, andavano sconfitte con tutte le armi possibili della legalità e senza più sconti per nessuno.

La stessa cosa si sta ripetendo adesso con i centri sociali (che proprio questa settimana, dopo aver aggredito il segretario della Lega, Matteo Salvini, hanno completamente distrutto anche una sezione milanese del Pd). E si sta ripetendo anche con i facinorosi che hanno preso in mano con la violenza il patrimonio delle case dell'Aler che rendevano meglio la loro funzione quando si chiamavano case popolari.

L'aggressione di Salvini e la distruzione di una sezione del Pd, due forze politiche che non solo non collaborano fra di loro ma che sono anche fra di loro antagoniste, dimostra, un'altra volta, che la violenza non ha, in definitiva, una connotazione politica. Può avere degli appoggi politici. Ma la violenza organizzata è una forza che, di per sé, si scaglia contro tutti coloro che, indipendentemente dalle loro idee, intendono ristabilire la legalità e che quindi si danno da fare a impedire le violenze e gli abusi da parte di chicchessia. Infatti la violenza di gruppo cresce sempre, e in modo inarrestabile, quando essa non viene contrastata e quindi sanzionata. Il violento (singolo; ma soprattutto in gruppo) diventa inevitabilmente sempre più spavaldo, arrogante e violento quanto più, dall'esercizio della sua sopraffazione, non subisce le sanzioni che la legge prevede nei confronti di coloro che la violano. Chi, dovendo intervenire (o far intervenire), chiude un'occhio sulla sopraffazione da parte dei violenti ne diventa sostanzialmente connivente.

Un capitolo a parte (e umanamente ancor più raccapricciante) è quello dell'occupazione abusiva delle case popolari da parte dei fuorilegge che ritengono che questi appartamenti siano a disposizione di chi li scassina, di chi intimidisce i vecchi che le abitano e non sono più in grado di difendersi. Questo abuso è emerso solo in queste settimane sulle pagine locali dei grandi giornali. Ma esso è in atto da molti anni, coperto dal silenzio complice e vergognoso di coloro che non vogliono grane. Le grane, non essendo contrastate dalle autorità che avrebbero i mezzi per ristabilire la legalità a vantaggio dei più poveri e dei più deboli (non a Scampia ma a Quarto Oggiaro!) finiscono per scaricare, per intero, il perverso cortocircuito della violenza senza contrasto, sulle spalle della gente più povera che invece, nelle istituzioni, dovrebbe trovare un sostegno, una difesa e un aiuto.

Siamo arrivati al punto che delle vecchiette, che vivono nelle case popolari milanesi, non vanno a fare la spesa perché, al loro ritorno, rischiano di trovarsi il loro appartamentino occupato. O dei malati che non possono permettersi di farsi ricoverare in ospedale per non rischiare di perdere l'abitazione e tutte le piccole cose senza valore (ma non prive di significato per loro) che si trovano nelle loro modestissime abitazioni, a testimonianza degli affetti di un'esistenza intera. Siamo arrivati al punto che non si è nemmeno atteso che gli inquilini fossero fuori casa, per occupare la loro abitazione, ma essi sono stati addirittura affrontati con i picconi e gettati brutalmente fuori casa. A dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, del fatto che la spirale della violenza non si arresta, se non viene arrestata. La prossima volta, se persistesse il silenzio delle autorità, potremmo apprendere che è stato dato fuoco agli inquilini non rassegnati a rinunciare all'uso dell'unico bene di cui hanno la disponibilità.

Siamo arrivati a questo punto perché aree troppo vaste della sinistra, anche perbene, hanno a lungo sostenuto, in sostanza, che le occupazioni sono illegali ma vanno comprese. Persino l'attuale sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che mi dispiace tirare in ballo in questa faccenda, perché non è certo un Marino qualunque e ha, acuto, il senso della legalità, in un articolo del 10 novembre 2010 durante il confronto con gli altri tre candidati alle primarie milanesi del centrosinistra, ha giustificato l'occupazione delle case come un atto di legittima difesa, in caso di necessità. Nella stessa occasione aveva sottolineato «che tale scelta è un atto al di fuori della legalità, ma che, in casi di necessità, diventa un atto di legittima difesa». Un grande applauso ha poi accolto quest'altra affermazione di Pisapia: «Finché le istituzioni non danno la casa a tutti, chi ne ha veramente bisogno ha diritto di occupare una casa». Un'ammissione di questo tipo è elettorale, ma anche allucinante. I poteri pubblici che dispongono delle case popolari, hanno anche elaborato un regolamento che stabilisce una graduatoria fra gli aventi diritto, in base, appunto, al loro bisogno. Chi, avendone meno bisogno di coloro ai quali le case popolari, in base alle graduatorie oggettive, sono state assegnate, se le prende manu militari, con la violenza, non è uno che ristabilisce la giustizia sociale (alla quale dovrebbe provvedere l'ente locale con le sue graduatorie) ma è solo (e in ogni caso, senza «se» e senza «ma», come si diceva un tempo), è, dicevo, un delinquente e quindi non può mai essere né incoraggiato, né tollerato. Chi chiude gli occhi (anche uno solo) diventa un sostenitore dei violenti. Se lo fa a fin di bene (quale bene, poi?) è uno che non sa come il suo comportamento possa tradursi in un incentivo alla delinquenza e alla sopraffazione da parte dei più violenti, che poi saranno fatti fuori, anche questo è certo, dai più violenti ancora. C'è quindi la speranza di assistere a un radicale cambio di approccio culturale, dopo che queste nequizie sono state portate all'attenzione dell'opinione pubblica. Affinché non si ripetano e non si aggravino. Senza «se» e senza «ma». Chi apre delle subordinate sta con i delinquenti.

Pierluigi Magnaschi