Si è proprio sicuri che gli Stati Uniti tireranno

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 la ripresa e che possano assorbire il calo di export in Russia per la verticale caduta del rublo

a causa della riduzione altrettanto verticale del prezzo del petrolio e del gas? In apparenza l'economia americana è in grandissima salute: la borsa è ai massimi, l'occupazione altrettanto, la crescita al 3,5%.

Eppure più di una voce invita alla prudenza. Per esempio per la temperatura molto bassa degli acquisti in questi giorni che precedono il Natale. Uno degli imprenditori italiani più accorti e con forti relazioni nel sistema dei department store americani è appena tornato da New York e parla di disorientamento dei capi del sistema distributivo del lusso in Usa. Da Sacks, da Barneys, da Bergdorf Goodman gli sono arrivate analisi di incredulità, che nonostante tutti gli indicatori classici dell'economia più che positivi ci siano pochi acquirenti nei negozi. Per alcuni un brutto segno che può avere due

spiegazioni: da un lato un repentino cambiamento di stile nei consumi indotto dalla sostituzione dei modelli discendenti dal grande Gatsby con le icone della Silicon Valley e del digitale vestiti con magliette prodotte in Cina, pantaloni di tela e scarpe da tennis; dall'altro la paura del futuro che è subentrata anche negli animi degli americani per i venti di guerra che battono il pianeta e che hanno nel match in corso fra Barack Obama e Vladimir Putin l'apice del pericolo.

C'è solo da sperare che questi sintomi siano semplicemente momentanei e la corsa americana prosegua senza perdita di ritmo. Ma il fatto è che anche economisti del livello di Lawrence Summers, non solo nipote del premio Nobel Paul Samuelson ma in passato chief economist della Casa Bianca e ora professore ad Harvard, intervistato da Class Cnbc (il testo è all'interno di questo numero), hanno espresso la necessità di un monitoraggio costante della crescita: «Il rischio che l'economia si indebolisca nuovamente c'è ed è reale. E se succedesse, non potremmo più intervenire con Quantitative easing, cioè con poderose immissioni di liquidità da parte della Federal reserve, perché le condizioni monetarie presenti, cioè il mare di liquidità che esiste, non lo consentirebbero senza scatenare un'inflazione fortissima. Dobbiamo garantire la stabilità dei prezzi e nel contempo cercare un equilibrio fra tutti i vari fattori». E continua: «La stagnazione è un fenomeno europeo, non americano, ma rimane in ogni caso una questione da tenere monitorata per la prospettiva a medio e lungo termine, deve rimanere un tema di attenzione fondamentale per il nostro Paese». Insomma anche chi conosce e riconosce che tutti gli indicatori americani sono estremamente positivi, teme la contaminazione dall'Europa e dal Giappone, mentre dall'Europa e dal Giappone si spera che gli Usa continuino a tirare la ripresa. Un momento di grande incertezza globale come non mai, sul quale pesano enormemente le vicende geopolitiche che una politica americana più accorta ed efficace dovrebbe evitare.

In mancanza è assolutamente indispensabile che Mario Draghi, uomo dell'anno (per le promesse di intervento) secondo il sondaggio di MF-Milano Finanza fra i protagonisti dei mercati finanziari, lo diventi nel 2015 per interventi effettivi, cioè per i fatti. In termini continentali europei, Draghi resta la speranza più importante. Non dovrà deludere. Nel passato i napoletani dicevano, riferendosi ai dominatori: Francia o Spagna purché se magna. Gli italiani e gli altri cittadini della Ue potrebbero celiare dicendo Draghi o Germania, purché se magna. Ma sbaglierebbero. Con la Germania non se magna. Draghi lo sa. Deve avere solo il coraggio, come ha promesso, di imitare la Fed e varare l'acquisto di titoli di Stato anche se il provvedimento otterrà nel consiglio della Bce solo una maggioranza semplice e il voto contrario dei due rappresentanti della Germania.

Ha il dovere di riportare l'inflazione intorno al 2%, che è l'obiettivo statutario della banca centrale e per farlo non può che inondare la Ue di liquidità; sì, certo, quella liquidità che fa dire a Summers: attenzione, perché se l'economia americana rallentasse non si potrebbe più usare il Quantitative easing come è stato usato finora perché gli Usa sono già inondati di liquidità. Esattamente l'opposto dell'Europa. Quindi, sia pure a distanza di cinque anni da quando la Federal Reserve ha avviato la cura da cavallo, Draghi deve assolutamente passare all'azione. Insieme ai complimenti che questo giornale gli rivolge per essersi meritato (sia pure solo per le promesse) il titolo di uomo dell'anno, arrivino a Draghi gli applausi dei mercati finanziari, che proprio per il consenso guadagnato in questi anni non potrà deludere.

Italia Oggi, di Paolo Panerai 22.12.2014