Contratto a tutele crescenti e nuovi ammortizzatori,

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e hanno permesso a circa 40.000 lavoratori di mantenere il loro posto di lavoro. Domani in Consiglio dedomani i decreti. Sacconi: via l'art.18 o via il governo

Arriverà domani, alla vigilia di Natale, il via libera del Consiglio dei ministri ai primi due decreti attuativi del Jobs act firmato dal ministro del lavoro Giuliano Poletti.  Il primo riguarda il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che cambierà radicalmente le norme sui licenziamenti e gli indennizzi per i nuovi assunti, mentre l'altro introdurrà la nuova Aspi, l'ammortizzatore sociale dato dalla riforma Fornero che sarà esteso nella durata e nella platea. Tuttavia, molti punti sono ancora in discussione e potrebbero cambiare. In particolare, l'ok al decreto sull'Aspi non è scontato e potrebbe essere rimandato a dopo le feste. Il 'nodo' sono le risorse finanziarie non ancora definite. Il nuovo contratto modifica l'articolo 18: per i nuovi assunti il licenziamento per motivi economici e organizzativi (non legati a un comportamento del lavoratore) e per la grande maggioranza dei licenziamenti disciplinari non darà più il diritto al reintegro sul posto di lavoro, ma ad un indennizzo. Il tetto massimo in caso di risarcimento economico illegittimo resta a 24 mensilità, ma l'indennizzo potrebbe variare a seconda della dimensione dell'azienda. L'obiettivo è quello di non penalizzare le piccole imprese (quelle sotto i 16 dipendenti alle quali oggi non si applica l'articolo 18) e far pagare qualcosa di più alle grandi, sopra i 200 dipendenti. Su questo punto è infatti allo studio una soluzione su tre scaglioni. Inoltre, l'entità dell'indennizzo sarà crescente in relazione all'anzianità di servizio del lavoratore. Poi, per evitare che le aziende licenzino entro il  primo anno di lavoro (perché con l'effetto combinato delle norme della legge di stabilità e del Jobs act potrebbe essere più conveniente )dovrebbe essere inserito un tetto minimo di 4 mesi di stipendio per licenziamento entro i primi 12 mesi.  Per i licenziamenti disciplinari la tutela reale dovrebbe rimanere per i soli casi di "insussistenza del fatto materiale". Una parte della maggioranza insiste per introdurre anche per il datore di lavoro la clausola dell'opting out (che oggi vale solo per il lavoratore) per consentire pure a quest'ultimo di convertire l'eventuale condanna al reintegro con un indennizzo monetario. Sono ancora da sciogliere i nodi sull'estensione delle nuove regole  ai licenziamenti collettivi. Il senatore del Nuovo Centrodestra e capogruppo di Area popolare Maurizio Sacconi ha definito quello di domani “il d-day della politica italiana. O via l’articolo 18 o via il governo per crollo della credibilità”. Mentre Giorgio Airaudo,  responsabile Lavoro di Sel  denuncia: "I decreti monetizzano i diritti e rendono tutti i lavoratori progressivamente precari. Lo chiamano lavoro a tutele crescenti ma i diritti decrescono e in realtà si estende il precariato con un indennizzo crescente e si monetizza il diritto al lavoro,  scambiato, se verranno confermate le indiscrezioni di queste ore, addirittura con un possibile sconto fiscale.  E non importa se l'indennizzo per il licenziamento rischia di essere più basso dei contributi e degli sgravi alle imprese e favorisce i licenziamenti, non importa se la Cassa integrazione scompare per le imprese cessate”. Una affermazione, quella di Airaudo, alla quale ha risposto indirettamente il premier Matteo Renzi, che su Facebook ha postato: "Dopo Terni, Piombino, Gela, Trieste, Reggio Calabria, Elextrolux, Alitalia, oggi c'è stato l'accordo di Termini Imerese. In questi 9 mesi abbiamo risolto più di 40 crisi aziendali, chi ministri sarà la volta di Taranto. Anche questo è jobs act".

Italia Oggi, 23.12.2014