Lettere al Direttore Il Foglio 13.1.2015

Categoria: Firme

Non tutto oro che luccica nella manifestazione multiculturale e illuminista

1-Al direttore - Intanto Salvini licenzia tutti i lavoratori della Lega, ’sti bokoharam.

Maurizio Crippa

2-Al direttore - Domenica ero a Parigi, eppure non ho sfilato. Nessuno scrittore è più di me attaccato alla libertà di espressione. Di codesta libertà ho sempre usato e pure abusato, ma non mi garbava l’idea di sfilare insieme con gli ipocriti, farisei (di sinistra, di destra, la solita minestra) che della libertà degli scrittori, giornalisti, vignettisti se ne fanno un baffo, che non amano affatto la libertà, ma provano a strumentalizzare la strage di Charlie Hebdo. La Francia è il reame del politically correct: tutti sono buoni, moralisti, virtuosi, laicisti, tutti scrivono, dicono le stesse cose, e guai a chi fa stecca nel coro. Per quel che mi riguarda, non perdo mai un’occasione di sfottere il politically correct. Mi sento troppo irrimediabilmente anarchico per sfilare in parata.

Gabriel Matzneff

3-Al direttore - La sera della strage di Parigi ho visto per caso al cinema “La spia”, l’ultimo film interpretato da Philip Seymour Hoffman, che avevo perso all’uscita e ho recuperato in una proiezione d’essai. La trama è curiosamente in sintonia con i tragici fatti di questi giorni: agenti segreti spiano ad Amburgo sospetti simpatizzanti islamici in odore di terrorismo. Ma mentre nel film non succede quasi niente, nella realtà era successo di tutto. Anzi, il plot progressista, per denunciare l’islamofobia occidentale, mostra la stronzaggine dell’intelligence tedesca e americana che vede complotti ovunque, tradisce le promesse fatte a un povero ceceno e incarcera sbrigativamente anche gli innocenti. E, per far capire questo, lascia lo spettatore in balia di interrogatori e inseguimenti inconcludenti, che non approdano a nulla, se non alla noia di noi che ci giriamo inquieti sulla poltrona. Nel frattempo a Parigi c’era l’inferno. Già il film era moscio di suo, visto poi quella sera risultava insopportabile. Per placare l’uggia (avrei fatto meglio, pensavo, a rimanere davanti alla tv a seguire in diretta su Sky gli sviluppi incalzanti di quella tremenda giornata), immaginavo che in un mondo ideale sarebbe dovuto accadere il contrario: che la trama del film fosse la vita vera (così avremmo fatto bene a flagellare la nostra diffidenza che ci fa vedere fantasmi cattivi dappertutto) e i fatti di Parigi fossero un film (un’americanata avvincente ed emozionante, e anche un po’ razzista). Avremmo apprezzato entrambi, uscendo dalla sala elettrizzati per la spettacolare tragedia frutto di finzione, per entrare in un mondo reale, protetto anche se nevrotico, sentendoci oltretutto orgogliosi e illuminati nell’ostentare disprezzo per quei burocrati ingiusti e ottusi. Invece siamo doppiamente avviliti, perché la verità è appassionante come un buon thriller, ma cattiva, e la fiction è buona, ma fiacca come una cattiva coscienza.              

Fabio Canessa 

4-Al direttore - Nella rabbia ed emozione collettiva suscitate dalle orribili stragi a Parigi, mi ha lasciato perplessa la formula scelta  dall’Eliseo. Ad accompagnare la folla immensa i più importanti leader politici delle grandi democrazie:  silenziosi e quasi impacciati, come fossero degli scolaretti in castigo dietro la lavagna. Dovevano forse farsi perdonare qualcosa? Non era più appropriata una sfilata sugli Champs Elysées con tutte le insegne delle democrazie rappresentative in bella e orgogliosa mostra? E anche uno slogan meno minimalista del #jesuischarlie?

Margherita Boniver

5-Al direttore - I social network trillano un qualcosa di Eco che dice: “Siamo in guerra (ma va?) è l’Isis il nemico (ma va, ma va?) l’Isis è il nuovo nazismo (analisi superficiale, però dimostra buona volontà)”. Poi scopro da Langone che secondo il Professore c’è equivalenza tra Corano e Vangelo (ahi, ahi).  Spero che lei sia d’accordo: c’è ancora parecchia strada da fare ma si ha l’impressione che il ragazzo migliori. Dopo aver letto e riletto Kant sembra che qualcosina cominci a capire.

Attilio Rizzo

6-Al direttore - Siamo tutti islamici. E non nel senso della solidarietà e della vicinanza ai carnefici dei vignettisti di Charlie Hebdo. Lo siamo perché immersi in una cappa di paura, viltà e abbandono al nichilismo. E cos’altro vogliono dire paura e sottomissione se non che la società sta procedendo spedita verso un “islamismo anonimo”, per parafrasare Rahner?

Luca Del Pozzo