Chiudiamo con l'Ucraina e coinvolgiamo la Russia

Categoria: Firme

di Putin nella guerra contro l'Isis

di Domenico Cacopardo  Italia Oggi, 17.2.2015

Sembra avvicinarsi il giorno in cui un consistente contingente militare italiano sbarcherà in Libia, giusto 104 anni dopo lo sbarco a Tripoli dei nostri marò, avanguardia di quelle forze di invasione che in due anni sconfissero i turchi e conquistarono una quarta sponda all'Italietta giolittiana. Lo fanno supporre la dichiarazione del ministro degli esteri Paolo Gentiloni, persona cauta e posata, sul pericolo rappresentato dall'Isis e l'affermazione di Roberta Pinotti, ministra della difesa, sulla «disponibilità» di 5 mila militari per assumere la responsabilità di una spedizione alla quale parteciperebbero francesi e inglesi e, forse, altre truppe europee (tedeschi, belgi, olandesi, danesi ecc.). Anche se su questo entusiasmo è piovuto 24 ore dopo la smentita di Renzi con l'invio a stare calmi.

Quello che soprattutto la Pinotti ha detto (o si è lasciata scappare)configura tuttavia unoscenario complesso, ma che sembra essere anchecoordinato, di interventi contro il Califfato islamico Isis, le cui forze ormai si estendono dalla Siria-Iraq alla Libia, al sud di Tunisia e Algeria, al Ciad, al Mali, alla Nigeria, avendo sullo sfondo una possibile evoluzione talebana dell'Afghanistan. Mentre il Pakistan, la terra delle «madrasse» (le scuole di formazione dei fondamentalisti), è sempre in bilico per la presenza aggressiva dei medesimi taliban che, di là dai monti, controllano appunto gran parte dell'Afghanistan.

Da un lato gli Stati Uniti, dopo che il presidente Obama ha annunciato che la proposizione «no boots on the ground», nessuno scarpone sul suolo, viene archiviata a favore di una presenza di truppe scelte di terra di Iraq, e fors'anche in Siria, per affrontare le milizie Isis, insieme ai militari iracheni. Probabile una partecipazione anglo-francese. Dall'altro, nel Mediterraneo, lo sbarco sembrerebbe essere diretto dagli italiani. Questa volta torneranno utili, utilissime le due portaerei (Cavour e Garibaldi) per stendere un ombrello di protezione sul contingente italiano, integrato come detto, e realizzare quegli attacchi che si renderanno necessari.

Rimangono alcuni equivoci da dissipare. Riguardano la solita doppia morale italiana, quel misto di mammismo, di ipocrisia e di intelligenza col nemico che serpeggia nel nostro mondo politico e mediatico. Non si conteranno, infatti, i mal di pancia per quanto sta per accadere. E i distinguo fondati sull'acqua di ragionamenti capziosi e infondati. Già, Matteo Renzi, parlando di una missione Onu ha fatto immaginare operazioni di «peace keeping». Si tratta, in sostanza, di dispiegare sul terreno forze di interposizione che impediscono alle ostilità di continuare. Non è il caso nostro. Si può capire la necessità tattica del premier di attenuare l'impatto degli annunci del governo. Ma non si può accettare un parlar oscuro, volto a depistare, più che a informare. Al minimo, la missione (se sarà Onu, il che non è detto) sarà di «peace enforcing», imporre cioè la pace anche con l'uso della forza.

Probabilmente, la sede propria dell'operazione è la Nato, e la responsabilità deve essere dell'Unione europea e delle sue finanze, viste le difficoltà di Italia e Francia. Ma in ogni caso, c'è qualcuno capace di pensare che un corpo di spedizione europeo in Libia non sarà oggetto di attacchi feroci da parte dei miliziani del Califfato? Si tratta, quindi, della prima vera guerra del dopoguerra iniziato il 26 aprile del 1945, giacché la guerra del Kosovo (guerra a tutti gli effetti, ma aerea) comportava pericoli marginali per i militari italiani. Questa che verrà, se verrà, metterà a rischio la vita di molti di coloro che saranno impegnati nelle operazioni, con l'aggravante, ormai nota, che per gli eventuali prigionieri è pronta la decapitazione.

In ballo, però, c'è la sopravvivenza dell'Occidente, mai come oggi sfidato dai fondamentalisti islamici, la cui forza religiosa è tale da mettere in discussione la vita civile in Europa. Se il confronto non avverrà presto, si tratterà solo di un rinvio, in attesa che l'Isis si senta tanto forte da sfidarci sul nostro territorio, come del resto ha annunciato. Alle spalle, deve sopirsi lo scontro Ucraina-Russia. Abbiamo bisogno della Russia, schierata accanto a noi, come accadde, dopo tante incertezze, nella ex Juvoslavia. E se frau Merkel e Hollande avevano in testa questa necessità in vista di operazioni nel Mediterraneo, faranno bene a usare, con Obama, stringenti pressioni su Poroshenko e sul governo di Kiev.

Stiamo, quindi, andando indietro nella Storia. È fatale che prima o dopo, infatti, si torni a Lepanto, in modo che per qualche secolo l'Occidente e il mondo ritrovino tranquillità. Paradossalmente, la situazione rafforza Matteo Renzi e il suo governo: se c'è qualcuno tra gli aventiniani che può contrastare l'idea di affrontare l'Isis, questo non è Fratelli d'Italia, Forza Italia o la Lega. Solo gli sconsiderati del Movimento 5 Stelle potranno opporsi, confermando la loro irredimibile marginalizzazione. In definitiva, saranno le circostanze a imporre le decisioni.E le circostanze ci diranno se abbiamo il governo maturo di una nazione matura.

Domenico Cacopardo