Beppe Grillo ora si fa il suo marchio

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Il comico registra il simbolo del M5s  suo ma non del movimento. Un cerchio che al suo

interno riporta la scritta Movimento con la lettera «v» in carattere di fantasia e cinque stelle. È proprio il simbolo identificativo dei grillini. Quello con cui si sono appena presentati, con successo, alle ultime amministrative. Fin qui, nulla di strano.

LA SCHEDA ALLA SEZIONE BREVETTI. Il fatto curioso, casomai è un altro. Proprio il 10 maggio, infatti, questo stesso simbolo ha fatto capolino nella sezione Marchi e brevetti del ministero dello Sviluppo economico. Nella scheda ad hoc mancano ancora numero e data di registrazione. Ma si sa che la richiesta è stata depositata il 20 marzo scorso da Giuseppe Grillo.

L'INCOERENZA DEL  CAPO. Tutto legale, per carità. Un po’ meno, però, sul piano della opportunità per un movimento il cui ispiratore si è sempre definito solo un megafono, uno strumento per dare visibilità alle istanze della società civile.

IL PRINCIPIO DEL TUTTI UGUALI. E la tiritera del tutti uguali? Bè, se il comico genovese fosse il proprietario del simbolo 5 stelle, finirebbe alle ortiche. Ma come, proprio Beppe Grillo che ha fatto della critica ai partiti leaderistici, Forza Italia e Lega in primis, una delle sue bandiere, alla fine si scopre un leader a tutti gli effetti? Non sarà che comincia a prenderci gusto con la politica?

Il divieto di andare in tivù per gli esponenti del movimento 5 stelle, per esempio, è partito da lui. A conferma che, poi, il blogger ligure non è proprio un primus inter pares.

IL TWEET TRADITORE. Ma qualcosa in più suffraga l'ipotesi che, in fondo in fondo, a Grillo la politica non faccia poi tanto schifo come dice. «A Comacchio il movimento 5 stelle supera il 30%, è il primo partito», ha twittato il comico il 7 maggio. Niente di strano, se non che per la prima volta, gli è scappata quella parola proibita e sempre detestata. Una voce dal senno fuggita: «Partito».

ENTUSIASMO O LAPSUS? Di sicuro ha inciso l’entusiasmo dei risultati elettorali incassati. E se fosse, invece, un lapsus freudiano?

 Dopo il suo cinguettio, comunque, sono partite subito le repliche: «Stai attento Beppe: hai usato la parola partito... sia mai!», ha scritto Valeria. «È il primo e unico movimento italiano nato in Rete», ha aggiunto Michele.

IL MITO DELLA PARTECIPAZIONE ORIZZONTALE. Rimane da capire, ora, con la registrazione del marchio, quale sarà la reazione dei grillini. Di certo, le pratiche in corso a via Veneto azzerano in un colpo solo il sogno di un movimento che appartiene a tutti.

 Forse, per la Base fomentata dal mito della partecipazione orizzontale e della democrazia diretta, sarà un brutto colpo.

 E, probabilmente, lo sarebbe ancora di più se risultasse sempre Beppe Grillo, e non un semplice omonimo, l’artefice di un altro tentativo di registrazione di un marchio, risalente addirittura al 2003, quindi ben prima della nascita del M5s. «Dio»: era questo il nome scelto. La richiesta fu poi rigettata.

E così le 5 stelle rischiano di finire nello stesso calderone di tutti gli altri partiti politici. Una storia che si ripete, insomma. A cominciare da Forza Italia, che è stata un tutt’uno con il suo leader e fondatore Silvio Berlusconi. Non che le cose siano poi cambiate con il Pdl, nato sul predellino sempre per volere del Cavaliere.

IL CARROCCIO DEL SENATÙR. Stesso discorso per la Lega, che appartiene a Umberto Bossi. A meno che non venissero confermate le voci secondo cui il marchio del Carroccio sia stato acquistato addirittura dal Cav.

DI PIETRO A VENDOLA NON SONO DA MENO. Eccetto il Pd, comunque, pare non esserci spazio in Italia per partiti che non siano personali. Vale per Antonio Di Pietro, che non ha mai tolto il suo nome dal simbolo dell’Idv, ma pure per Nichi Vendola: Sinistra ecologia e libertà è lui, in tutto e per tutto.

 Certo, se poi un leader si avvia sulla strada del declino, il rischio è che si trascini con sé l’intero movimento.

LE LEZIONI DEL PASSATO. Grillo è avvertito. Forse, però, quella del comico genovese è solo lungimiranza. Neanche fosse un politico di lungo corso: chissà che le contese tra gli eredi della Dc sull’utilizzo del nome e del simbolo del partito non l’abbiano spinto ad autotutelarsi.

 O, magari, senza andare troppo lontano, se non abbia imparato la lezione proprio dal Pdl e dalla diatriba sull’impiego del logo vincolato ai due cofondatori, Be di Paola Alagiarlusconi da un lato e Gianfranco Fini dall’altro. di Paola Alagia-lettera 43- 11.5.2012