Il Veneto frena l’accordo Bossi-Maroni

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Criticata la visione lombardocentrica, si studiano nuove strategie per riequilibrare

 i poteri. Lunedì si ridiscute lo Statuto. . La prima frenata sull’accordo Bossi-Maroni che ridisegna la geografia del potere leghista arriva proprio dal Veneto: «Ma chi lo dice che il prossimo segretario non può essere veneto?» è la domanda rivolta lunedì da un componente del Federale direttamente a Roberto Maroni e Umberto Bossi a testimonianza dell’agitazione in seno al partito di via Bellerio. Certo nessuno contesta la futura leadership dell’ex ministro dell’Interno ma il “peso” che devono avere le “nazioni”, come vengono chiamate le regioni all’interno del movimento, continua ad essere oggetto di dibattito e divisioni interne.

Del resto, come raccontano alcuni presenti, la riunione dell’altro giorno ha raggiunto alcuni momenti di accesa discussione. «Quelli del Veneto - riferisce un esponente lombardo - vogliono negoziare le loro poltrone, non sopportano la forza di Tosi». Dietro le quinte le rivendicazioni venete, invece, sono diverse: «Sarà il congresso a decidere chi sarà il segretario e chi il presidente», viene riferito, «è un fatto formale ma anche di sostanza». Ad alcuni dirigenti del Carroccio non è piaciuto il modo in cui Bossi e Maroni si sono accordati su chi sarà il segretario e chi il presidente. Meglio aspettare che decidano i militanti, è il ragionamento. C’è chi propone una confederazione tra le varie anime territoriali del partito e chi di legare la composizione del Federale ai voti ottenuti dalle rispettive regioni. Questioni che verranno comunque discusse lunedì quando si riunirà la commissione Statuto in via Bellerio. Il fatto è che sia Bossi che Maroni (che Calderoli) sono lombardi e inoltre l’ala veneta, cui pure è stato assegnato il ruolo di vicepresidente vicario - per cui si fa con insistenza il nome di Luca Zaia - vuole maggiore autonomia decisionale. Si dice anche che il governatore, per cui Maroni candidato unico avrebbe «tutte le caratteristiche per guidare la Lega in questa fase difficile», sarebbe intenzionato a rifiutare. Nel caso, tornerebbe in auge il nome della triumvira Manuela Dal Lago. «Perché la linea deve essere decisa a Milano? Il federalismo va attuato prima nel partito e poi sul territorio», è la tesi di chiede un riequilibrio di ruoli e di compiti.

L’obiettivo annunciato dall’ex ministro dell’Interno è quello di unire il movimento e di far sì che a guidarlo siano dirigenti che pensino al partito e non ai propri affari. Ma tra i deputati del Carroccio i timori legati al futuro non mancano. «Qualora i partiti della maggioranza si accordassero per una soglia di sbarramento al 5% - viene fatto osservare - non è detto affatto che la Lega possa tornare in Parlamento». C’è anche chi teorizza - e nei giorni scorsi è stato anche Maroni a farlo - la necessità di restare sul territorio e di evitare la discesa a Roma. «Solo così - spiega uno dei big - riusciremmo a riconquistare la fiducia dei nostri. Corriere Alpi 16.5.2012