«Signor Presidente, faccia qualcosa per gli italiani, eviti che finiscano nelle mani
di persone che possono rovinare la loro vita come hanno fatto con me, eviti che la magistratura abbia a spargere tanta sofferenza»: con queste parole, il 13 luglio del2008, Francesco Fusco, ex dirigente dell'Agusta - arrestato due volte e processato tre per reati mai commessi, prosciolto da ogni accusa, ma solo dopo dieci anni di persecuzione giudiziaria - concludeva una lettera al Presidente Napolitano, destinata a non ricevere risposte. L'aveva scritta con la sola mano destra, dal letto dell'istituto Redaelli di Milano, dove l'aveva inchiodato un ictus paralizzandogli il lato sinistro e lo tormentava un cancro alle ghiandole salivari. Fusco è morto a Milano l'altro giorno, e questa mattina – venerdì 27 luglio - avrà le sue esequie. Vittima di una giustizia approssimativa e occasionale, sbadata quanto spietata nei suoi carsici accanimenti. Una storia da Giobbe, la sua, la storia di un giovane benestante, apolitico, che dopo una bella carriera da giornalista, a 53 anni, nell'89, viene assunto all'Agusta dall'allora presidente Roberto D'Alessandro, craxiano, come direttore delle relazioni esterne. Nel settembre del '92 i pm Antonio Vinci e Francesco Misiani lo arrestano (il primo morirà d'infarto nel '98 mentre era agli arresti domiciliari per corruzione; e il secondo sarà incriminato nel '96 per favoreggiamento e assolto solo dopo essersi dimesso dalla magistratura: un sinistro contrappasso). I pm pensano che Fusco sappia tutto delle tangenti intermediate da D'Alessandro, che invece faceva da sé. Lo sbattono in prigione senza neanche interrogarlo: vogliono nomi. Lui non ne sa, alla fine il gip lo scarcera. Riprende a lavorare, nel privato, ma nel '94 lo riarrestano negli Usa per «corruzione di persone ancora da identificare». Stessa trafila, altri tre mesi bruciati tra carcere e domiciliari, un altro lavoro perduto, e poi una trafila estenuante fino al 2001 - 2 milioni di euro per difendersi e mantenere e curare se stesso e la famiglia - quando arriva l'assoluzione definitiva. Nel frattempo un'altra incriminazione, a Milano, che in tre anni evapora, con lo stesso pm Gherardo Colombo che ne propone il proscioglimento per l'evidente estraneità ai fatti. Fusco chiede l'indennizzo per l'ingiusta detenzione: lo stato valuta la sua via crucis 8 mila euro. Vale la pena ricordare tutto questo nel giorno del suo ultimo viaggio. Perché i giornali di solito raccontano le inchieste e le condanne: molto più raramente gli errori giudiziari e il calvario di chi ne subisce le devastanti conseguenze. di Sergio Luciano Italia Oggi – 27.7.2012