Italia, CIA FBI storie e verità emergono

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L’INTERVISTA COL MORTO A BARTHOLOMEW SCATENA I SOCIALISTI

EPURATI DA DI PIETRO & CO. - 2- DE MICHELIS: “LA CIA COPRÌ IL FINANZIAMENTO ILLECITO AL PSI FINO AL MURO DI BERLINO. DOPO, L’ITALIA NON SERVIVA PIÙ E CI MOLLARONO, LASCIANDO SOLO L’FBI (PER LA MAFIA) - 3- “MANI PULITE È FIGLIA DI DIPLOMATICI ED FBI. IL PCI FU RISPARMIATO PERCHÉ GLI USA L’AVEVANO SCELTO COME INTERLOCUTORE E DOVEVA SERVIRE PER 20 ANNI” - 4- “BARTHOLOMEW ERA ASCOLTATISSIMO ALLA CASA BIANCA. NELL’88 SI ERA CONVINTO CHE DE BENEDETTI SE LA FACESSE CON L’URSS. IO E COSSIGA ANDAMMO DA BUSH SR. E LO CONVINCEMMO DEL CONTRARIO. MA LA CORTESIA NON FU RESTITUITA” - 5- FORMICA: DOPO IL PSI, GLI USA PUNTARONO SU BERLUSCONI, FINI E D’ALEMA: 3 LEADER ZOPPI CHE NON AVREBBERO PERMESSO AGLI ITALIANI DI RECUPERARE SOVRANITÀ – Mattia Feltri e Fabio Martini per La Stampa – 1.9.2012

Gianni De Michelis, lei nel 2003 scrisse un libro (La lunga ombra di Yalta, 2003) in cui delinea la sua teoria sui metodi del pool Mani pulite e sul ruolo non secondario degli Usa.

«E infatti per me non è stato sorprendente leggere le interviste a Reginald Bartholomew e Peter Semler: mi è sempre stato chiarissimo che l'inchiesta si è basata in gran parte sulla carcerazione preventiva come mezzo per ottenere confessioni, e ho sempre attribuito all'operazione Mani pulite una valenza essenzialmente politica».Cioè?

«Non tutti i partiti hanno avuto lo stesso trattamento. La storia più famosa è quella di Primo Greganti alla cui vicenda il procuratore aggiunto Gerardo D'Ambrosio diede una lettura particolarmente favorevole».

Perdoni ma non è così. Nonostante abbia subito una lunga carcerazione, Greganti ha sostenuto di aver intascato i soldi per sé. I giudici non gli hanno creduto, come dicono le sentenze, ma non hanno potuto dimostrare il coinvolgimento del Pci.

«Pensa che se Greganti fosse stato socialista sarebbe finita così?».Questo è soltanto un sospetto.

«E il miliardo di Raul Gardini? Antonio Di Pietro ha raccontato di aver seguito i soldi fin sul portone di Botteghe Oscure, ma di non aver mai scoperto chi lo intascò.Ma come? Ma stiamo scherzando?».

Che il Pci c'entrasse in Mani pulite come gli altri è appurato.

«Benissimo, allora quello che voglio dire è che Bartholomew, e naturalmente mi spiace sia morto, quando si lamenta di certi sistemi degli inquirenti si lava la coscienza: lui e il suo paese avevano preso atto che la vecchia classe politica non c'era o non serviva più, e cominciò a dialogare con altri. Il gruppo dell'ex Pci doveva servire per vent'anni».

Un po' poco per sostenere che gli Stati Uniti indirizzarono...

«La vostra intervista a Semler è illuminante. Il console dice che Di Pietro lo avvertì nel '91 che presto il Psi e la Dc sarebbero stati spazzati via».

Per Di Pietro, Semler si è confuso.

«Ma siamo seri. Semler è un console, mica si confonde. I casi sono due: o dice la verità o mente. E io penso dica la verità».

Quindi?

«La Cia coprì l'apertura del Conto Protezione per il finanziamento illecito al Psi. Sapeva tutto. Il giorno dopo il disfacimento dell'impero comunista, la Cia ha preso e se n'è andata lasciandoci con il cerino in mano. Se ne andò perché l'Italia non aveva più un ruolo geopolitico e non c'era più da garantire l'equilibrio di Yalta. Da noi prevalse l'Fbi, interessata ad evitare che la mafia prendesse troppa forza».

Così paradossalmente voi e la Dc, che avevate garantito Yalta, venite lasciati nelle mani della magistratura.

«E nel '92 Luciano Violante, del Pds, diventa presidente della Commissione antimafia. In quel ruolo ha un rapporto stretto con Louis Freeh, dell'Fbi. Niente di oscuro, s'intenda. Non parlo di complotti. Ma tutto si lega: l'ex Pci - con l'ambasciatore, con l'Fbi - diventa interlocutore dell'America. E al Pci non si applica il "non poteva non sapere". Curioso no?».

C'è qualcosa che non torna. Sta dicendo che l'Fbi si occupa di mafia con lo Stato italiano e col Pds. Ma sono gli anni della trattativa, se trattativa ci fu. Furono gli americani a volerla?

«Non sono in grado di dirlo. Dovreste chiederlo a Di Pietro».

A Di Pietro?

«Sì, a Di Pietro. Dovreste chiedergli la natura dei suoi viaggi in America. Dovreste chiedergli di che cosa si parlò, che cosa avevano in testa gli americani in quegli anni, perché fu invitato dal Dipartimento di Stato».

Perché era l'uomo più importante d'Italia.

«No, era l'uomo politico più importante d'Italia. Altrimenti lo avrebbe invitato il Dipartimento della Giustizia, non il Dipartimento di Stato. Di Pietro aveva rapporti particolari e privilegiati con Washington, e sa molte cose su cui tace. E mi domando per quale ragione oggi torni fuori la trattativa: perché - è la mia sensazione - il disegno americano di impostare la Seconda repubblica è sostanzialmente fallito, e perché la magistratura è oggi frazionata su varie posizioni. È un altro equilibrio che si rompe».

Una teoria complicata ma chiara. Se è così, Bartholomew e Samler giocano la stessa partita: uno fa il poliziotto buono e uno il poliziotto cattivo.

«Esatto. A parte che Bartholomew racconta un fatto fondamentale: chiamò un grande giurista come Antonin Scalia e riunì sette alti magistrati italiani per parlare degli abusi del pool di Milano. A parte questo, Semler anticipava l'entrata dell'Fbi e Bartholomew compensava l'uscita della Cia. E' lui, e lo racconta, che sceglie i nuovi interlocutori».

Aveva tutto questo peso, Bartholomew?

«Ma Bartholomew non era mica uno qualsiasi. Era un ambasciatore di rango. Era uno tosto, ascoltatissimo alla Casa Bianca. A un certo punto - non ricordo che incarico avesse all'epoca - si era persuaso nonostante le nostre rassicurazioni che Carlo De Benedetti se la facesse con l'Unione Sovietica. Nell'89 io e Francesco Cossiga andammo in vista dal presidente George Bush senior e anche lui ci parlò di De Benedetti. Voleva che prendessimo contromisure e non fu facile convincerlo che non era il caso».

Per dire quanto contasse Bartholomew?

«E per dire che la cortesia non ci fu restituita».

 2 -"USA, CHE ERRORE PUNTARE TUTTO SU BERLUSCONI, FINI E D'ALEMA" Fabio Martini per "La Stampa"

Dunque, qualche cosa l'avevamo capita...». Sorride ma non troppo Rino Formica, classe 1927, socialista, più volte ministro negli anni di Craxi, spirito anticonformista, da sempre assertore della tesi che, quella della Prima Repubblica, fu una eutanasia «assistita», portata a termine anche grazie all'aiuto interessato degli Stati Uniti. Le interviste a «La Stampa» dell'ex ambasciatore Reginald Bartholomew e dell'ex console a Milano Peter Semler sulle interferenze americane nella vita politica e giudiziaria italiana hanno rafforzato le sue convinzioni e infatti sostiene Formica:

«Siamo nel 1992 e sulla scongelata frontiera Est-Ovest si moltiplicavano i punti di fuoco, l'impero russo si stava decomponendo, il dopo-Tito era un'incognita e le mafie dell'Est rischiavano di saldarsi a quella siciliana. L'Italia traballa, mette a rischio equilibri strategici e a quel punto Clinton decide di mandare da noi, non il solito Paperone che ha finanziato la campagna elettorale del Presidente, ma un grande ambasciatore di carriera, uno che ha già trattato con colonnelli e terroristi, capace di salvaguardare gli interessi strategici americani. Bartholomew capisce che l'Italia è sull'orlo della guerra civile, che democristiani e socialisti sono inutilizzabili e punta su Berlusconi, D'Alema e Fini, leader dal passato «ingombrante».

Venti anni dopo possiamo dire che, dalla visuale degli interessi Usa, l'intuizione dell'ambasciatore fu geniale, ma aver puntato su tre leader «zoppi» non ha certo consentito all'Italia di recuperare la sovranità perduta allora. Di quella scelta abbiamo pagato le conseguenze».

Nella Milano del 1991 un pm e un console come fecero a prendersi tutto quel potere?

«Milano era ed è il cuore pulsante del Paese, la città più europea e quell'anno ci sono tre cani da tartufo che sentono l'odore "giusto" prima degli altri: il console americano, il cardinale e un ex poliziotto. Il pm Di Pietro si vede passare per le mani cose straordinarie e capisce che può far cadere l'intero sistema. Il console vive ai margini dell'Impero americano, ma si rende conto che a Roma il suo ambasciatore, preso dai salotti romani, non capisce che l'Italia sta per implodere e dà una mano a Di Pietro: assieme organizzano il viaggio al Dipartimento di Stato».

Ma alla fine del 1992 cambia l'amministrazione Usa: perché la Casa Bianca, secondo lei, decide di "sedare" Mani pulite?

«Anzitutto perché non siamo in Libano e il cambiamento deve avvenire per via legalitaria. In Italia c'è una complicazione in più: la mafia italiana, che gli americani conoscono e sanno utilizzare meglio di noi, rischia di saldarsi alle mafie dell'Est. In quei mesi, con un sistema politico sequestrato dalla magistratura, aumentano i rischi per gli interessi americani e dunque il nuovo ambasciatore, non più avvezzo come il precedente alle terrazze, avoca a sé il controllo: dal cortile milanese, si torna a Roma, si torna a ragionare in termini di interessi strategici».

Perché punta su Berlusconi, Fini e D'Alema?

«Quando un impero non può scegliersi un alleato forte, preferisce alleati impediti e in qualche modo ricattabili: ecco perché vengono scelti gli eredi di due sistemi politici totalitari e un imprenditore "compromesso" col precedente sistema. A D'Alema gli americani affiancano il più grande dei persuasori occulti, Francesco Cossiga».

Sarà stato pure un investimento, ma i tre erano adulti e vaccinati, non pensa?

«E il bombardamento su Belgrado, voluto da Clinton e promosso dal governo D'Alema? E la kippah ebraica sulla testa di Fini?».

Perché, a dispetto degli Usa, Mani Pulite non si spegne subito?

«Per vischiosità l'indagine continua ma non ha più una funzione dirigente, di riordino del sistema: Borrelli attende la "grande chiamata" ma non diventa presidente della Repubblica; Colombo, il guardiano del tempio, non diventa Guardasigilli; D'Ambrosio, la persona più perbene, cerca di tutelare il tutelabile. E quanto a Di Pietro, per anni ha fatto credere di avere carte su tutti, ma il suo potere si è via via affievolito, man mano che sono andati in prescrizione i reati di cui minacciava di rivelare l'esistenza»

Ci sono aspetti della presenza americana che un ex ambasciatore non può rivelare?

«Certo. Assieme alla sovranità politica limitata, in quegli anni si riduce drasticamente la presenza pubblica nell'economia, si privatizza, partiti e sindacati perdono potere. E ancora: tra il 1992 e il 1993 l'Fbi ritiene che la Cia, dopo il crollo del Muro, non abbia più punti di riferimento e in questo quadro si punta a ridurre non solo la sovranità politica ma anche l'autonomia giudiziaria, come Maurizio Molinari ha già scritto in un suo libro. Il capo dell'Fbi arriva a Roma, incontra i ministri dell'Interno e della Giustizia e senza che ne sappia nulla neppure il sottoscritto, al tempo ero ministro, viene deciso che la polizia americana si "affianca" a quella italiana nelle indagini sulla morte di Falcone. In questi giorni si parla di trattativa con la mafia: ma partecipò anche l'Fbi?».