CRISI VERE E CRISI ARTEFATTE

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 I media enfatizzano i cento tavoli interministeriali su aziende in

difficoltà. Ma nessuno fa differenza tra frutti della recessione, crisi strutturali e società sfibrate da sovvenzioni di stato Centocinquanta “tavoli”. O forse di più. Tanti, innumerevoli sono i dossier depositati ai ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro. E durante il fine settimana sono diventati i titoli di testa dei tg, mentre i quotidiani hanno dedicato loro pagine ricche di foto, grafici, tabelle. Storie drammatiche, operai e impiegati senza speranza, l’Italia che arretra dal suo posto di secondo paese manifatturiero d’Europa. Finalmente si parla di cose serie. Ma siamo sicuri che se ne parli in modo serio? Primo caveat: queste cento e più vertenze non rappresentano novità. Alcune sono frutto della recessione attuale (è il caso degli elettrodomestici). Altre sono nate prima del 2008 o risalgono indietro nei decenni come il carbone del Sulcis. Invece, tanto fumo mediatico avvolge il fuoco che brucia davvero. Non sarebbe allora il caso di andare a vedere, focolaio per focolaio, che cosa si può spegnere e come? E’ la strategia del caso per caso propria delle anime semplici che non piace alle anime belle del circo politico.

Nell’elenco delle vertenze vengono inserite anche Meridiana e Wind Jet. Ma c’entrano davvero? Piloti e assistenti di volo sono lavoratori, naturalmente. Vanno tutelati i loro diritti. Però le due compagnie sono in grado di volare da sole? La prima, erede di quella fondata dall’Aga Khan ai tempi d’oro della Costa Smeralda, è entrata in crisi nel 2007 e l’anno scorso ha espulso 910 dei 2000 dipendenti. Aggravata da perdite, ha futuro forse come low cost. Wind Jet è collassata non solo per colpa della crisi mondiale, ma anche grazie a operazioni finanziarie del proprietario, Nino Pulvirenti, patron del Catania calcio, nelle quali entrano, stando a Radiocor, anche i conti della squadra. Nel 2011 ha chiuso in rosso per 10 milioni.

Gli operai del Sulcis ieri hanno cessato l’occupazione in base alla promessa che la miniera non chiuderà, per il momento. Il governo prende tempo come ha fatto ogni governo dal 1971. Se ne occuperà chi vince le elezioni, intanto continuano i sussidi. Esistono alternative? Alcuni hanno proposto di catturare l’anidride carbonica che esce dalla centrale che utilizza il carbone ad alto contenuto di zolfo, per poi stoccarla in miniera. Costerebbe 200 mila euro l’anno per otto anni e per ogni minatore, secondo il sottosegretario Claudio De Vincenti. Se venissero erogati in cambio di nuove iniziative, piccole imprese nei servizi o nella manifattura, il Sulcis rifiorirebbe. Certo è che per trent’anni si è andati alla ricerca di cavalieri inesistenti. Perfetta è la ricostruzione politico-cronologica di Alessandro Penati nella sua rubrica del sabato sulla Repubblica. E ciò ci conduce all’Alcoa, anch’essa sussidiata: per salvare la produzione di alluminio, lo stato ha fornito l’elettricità a prezzo più basso alla multinazionale canadese, facendola pagare agli altri consumatori e ai contribuenti.

La Merloni di Fabriano porta con sé storie parallele di una grande famiglia industriale. Mentre Vittorio costruisce una multinazionale degli elettrodomestici (oggi si chiama Indesit Company) e Francesco un gruppo internazionale nelle caldaie, Antonio continua la tradizionale produzione di bombole alle quali si aggiungono forni e cucine. Il ramo più debole cade nel 2008. Da allora è in amministrazione controllata. Il suo futuro è nero anche perché nel frattempo la recessione ha colpito anche i colossi del “bianco”, tra i quali la stessa Indesit. Gli elettrodomestici sono il secondo settore produttivo italiano con 120 mila addetti. Nel 1996 aveva il 16,8 per cento del mercato mondiale, oggi il 9; negli ultimi 4 anni la produzione è scesa del 40 per cento, il costo del lavoro rispetto ai concorrenti è salito del 50 per cento. Cifre che ci portano al nodo della competitività il quale si scioglie in fabbrica, non nella contrattazione con il governo.

La Natuzzi che da due anni ricorre alla cassa integrazione (sono coinvolti ormai metà dei 2.600 dipendenti italiani) ha subito non solo la caduta della domanda mondiale, ma la concorrenza della Cina e di altri produttori dei paesi in via di sviluppo. Lei che si era quotata a New York e vendeva in tutto il mondo, finisce vittima della globalizzazione. “L’arrivo dei cinesi ha cambiato le regole”, lamenta Pasquale Natuzzi. Dice che nel 1997 aveva cercato di spostarsi sulla fascia di più alta qualità. Non è bastato. Salvare il distretto pugliese dei divani non è facile. Ne vale la pena? Forse. Certo, non è il caso di Termini Imerese che non è mai diventato un distretto dell’automobile. Fu un errore fin dall’inizio, frutto della pressione della Dc siciliana alla quale cedette anche Vittorio Valletta nonostante fosse contrario. Una fabbrica sussidiata dalla culla alla tomba.

La Fincantieri forse è alla frutta, ma ancora siede a tavola. A Ferragosto è stata varata a Monfalcone la più grande nave passeggeri mai costruita dalla cantieristica italiana, la Royal Princess (per la Carnival). La bandiera è tutt’altro che ammainata, anche se la concorrenza con l’Asia è asfissiante (prima il Giappone, poi la Corea del sud, ora la Cina). “L’industria che sopravvisse tre volte”, come l’ha chiamata la Fiom, rischia ora il collasso? La crisi va avanti da almeno un decennio e si è aggravata nel 2007, prima del grande crac. Ha natura strutturale. Poiché l’azienda fa capo allo stato, tocca al governo la soluzione. Al momento non si vede altro che una ristrutturazione nella speranza di trovare investitori privati, fondi, gruppi internazionali, disposti a investire quattrini che il governo non ha.

La Confindustria vuole “un miliardo per le aziende” sotto forma di credito all’imposta per l’innovazione. Domattina Giorgio Squinzi andrà a Palazzo Chigi. Elsa Fornero, ministro del Welfare, ripropone la riduzione del cuneo fiscale del governo Prodi (2006-2008): fu un vero flop. Vittorio Grilli, ministro dell’Economia, ha già detto che non c’è trippa per gatti. Susanna Camusso, segretario Cgil, spera nella lotta all’evasione. Ricetta non nuovissima. “Negli ultimi dieci anni anche in termini di produttività siamo cresciuti molto meno della media europea”, ha spiegato il presidente dell’Istat Enrico Giovannini, perché prevalgono le piccole imprese specializzate in settori meno produttivi. Ma, aggiunge, “l’aumento della produttività non si fa a Palazzo Chigi o a Montecitorio. Si fa sui luoghi di lavoro”. Altro che aprire tavoli in via Veneto, bisogna comprare nuovi robot. Stefano Cingolani per IL Foglio del 4.9.2012