Il capitale lascia l'Italia

Categoria: Firme

 In un solo anno, tra il giugno 2011 e quello 2012, capitali pari al 15% del pil hanno

lasciato l'Italia. Il Fondo monetario internazionale ha calcolato che 235 miliardi di euro sono stati disinvestiti dal Belpaese per essere allocati altrove. Significa che, lo spread «stellare» pagato dall'Italia a partire dall'estate 2011 per collocare il suo debito pubblico, non è bastato a convincere gli investitori internazionali a tenere i propri capitali in assets italiani. Neppure l'elevato rendimento offerto dai titoli e dai valori finanziari italiani è stato in grado di compensare adeguatamente il rischio sottostante, quantomeno agli occhi di una parte non marginale di investitori. Sono gli effetti di una globalizzazione quasi perfetta nelle possibilità di allocazione e di movimentazione dei capitali, liberi, oggi, di uscire da un mercato o da un paese per spostarsi altrove dove il rapporto rischio/rendimento è ritenuto migliore. Ovviamente, un'economia già messa in difficoltà da un prolungato ciclo non espansivo faticherà ancora di più a finanziare le iniziative economiche di rilancio della produzione, perché la fuga dei capitali è una forma indiretta di credit crunch. Non sono solo le banche direttamente a restringere il credito alle imprese, ma le decisioni degli operatori internazionali di «razionare» i capitali investibili o da investire in Italia. In questo modo la Repubblica ha perso una parte della torta del capitale internazionale a disposizione e una parte importante del moltiplicatore finanziario rappresentato da questa tipologia di investitori. Possibile pensare di passare a una sorta di autarchia finanziaria nella gestione del debito pubblico come da qualcuno suggerito? I mercati finanziari servono, anche e soprattutto, a diversificare i rischi distribuendoli sul maggior numero possibile di portafogli. Se il rischio paese Italia, intrinseco ai suoi Btp, viene tutto sottoscritto e detenuto da cittadini e imprese italiane, significa che quel rischio specifico di default sarebbe al 100% in carico ai risparmiatori ed agli investitori italiani. La deresponsabilizzazione dei politici potrebbe perfino crescere, perché liberata dal vincolo esterno della pressione internazionale, e la pressione esercitabile dai soli investitori domestici essere esposta agli andamenti delle periodiche competizioni elettorali nelle quali il trattamento offerto a questa importante costituency potrebbe farsi demagogico come già accaduto in altri contesti. Per l'Italia la via è una sola: creare le condizioni di rendimento per far tornare il capitale internazionale, ben sapendo che i mercati hanno le gambe dei conigli ma la memoria degli elefanti. di Edoardo Narduzzi*  per Italia Oggi – 11.10