Perché un chirurgo che sbaglia paga e un magistrato invece no?

Categoria: Giustizia

Il magistrato che ha autorizzato il regime di semilibertà di Mohamed Safi, quel trentaseienne che ha cercato di sgozzare la sua compagna a Torino, dovrebbe rispondere di concorso in tentato omicidio.

di Sergio Luciano 24.10.2019 www.italiaoggi.it

Il magistrato che ha autorizzato il regime di semilibertà di Mohamed Safi, quel trentaseienne che ha cercato di sgozzare la sua compagna a Torino, dovrebbe rispondere di concorso in tentato omicidio. E chi gli aveva comminato solo 12 anni di carcere per aver veramente ammazzato, 11 anni fa, la sua compagna di allora dovrebbe essere mandato a fare un altro mestiere.

Che paese è, che leggi sono, che magistratura è mai quella che permette a un omicida efferato di scontare una pena così breve per un delitto così grave? E perché consentire a un uomo con un simile precedente di tornare, di fatto, a piede libero, senza la minima certezza di aver vissuto un qualche ravvedimento, rinsavimento, guarigione tale da garantire alla collettività di aver superato la sindrome morbosa aggressiva che lo aveva spinto all'omicidio? Ponendo così, con il liberarlo, le premesse affinché potesse ripetere esattamente lo stesso gesto per il quale era stato condannato?

Sono queste le storture che spaventano. Sono questi i casi che alimentano il panico, gettano benzina sul fuoco della paura sociale, dell'odio razziale, portando acqua al mulino della destra più estrema. L'equazione: «Omicida a piede libero, immigrato da espellere» scatta fatale. La società e le forze politiche si direbbero assuefatte a queste storture. Ma non sono una fatalità, come non lo è la ripetizione di certi comportamenti criminali dettati dai raptus, più che dal calcolo delle convenienze di altri reati. Cambiare si può ancora. Ma va fatto subito, per evitare guai peggiori.

Peccato però che quanto compie di errato la magistratura, non è errato per nessuno. Se un chirurgo, in perfetta buonafede e per pura distrazione, dimentica una pinza nella pancia di un paziente, passa un guaio, più ancora di quel paziente: viene citato per danni, gli si blocca la carriera. Se un funzionario pubblico sbaglia un acquisto e incappa (evenienza invero rarissima) in un controllo, viene inquisito per danno erariale. Se un magistrato scarcera un omicida maniacale che recidiva, non gli succede niente. Perché? Solo perché cane non mangia cane. Solo perché la casta protegge i suoi elementi, anche i meno meritevoli.

Ma in verità a uscire spappolato dalla vicenda torinese è tutto il welfare sociale. Quel detenuto psicopatico (perché di questo stiamo parlando: ha anche tentato il suicidio in carcere, quando vi è tornato, perché non aveva potuto fumare una sigaretta) avrebbe dovuto essere oggetto di cure e non di semplice contenzione. E ovviamente a maggior ragione non avrebbe mai dovuto, privo di cure appropriate com'era, essere rimesso in libertà.

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