L'emendamento Quanti sono i magistrati bravi? Così il Governo Meloni ha aggirato la Riforma Cartabia

Categoria: Giustizia

Il nuovo meccanismo era stato pensato per valorizzare i più bravi, permettendogli di fare carriera senza dover chiedere favori a Luca Palamara o a chi per esso. Ma il risultato è tutt’altro

Paolo Pandolfini — 16 Marzo 2024 ilriformista.it lettura3’

99,89. È la percentuale dei magistrati italiani che ha avuto una positiva valutazione di professionalità da parte del Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno delle toghe che su questa delicatissima materia ha competenza esclusiva. Per capire le polemiche di questi giorni sul futuro sistema di valutazione dei magistrati, con l’introduzione delle ‘pagelle’ e i relativi giudizi di merito, non si può non partire allora da questo dato numerico che vede i pm e giudici del Belpaese tutti meritevoli e tutti con giudizi di professionalità positivi.

Il dato che stride con la realtà

Si tratta, però, di un dato che stride tremendamente con la cronaca di tutti i giorni, fatta di gente arrestata e tenuta anni in carcere pur essendo innocente, di sequestri illegittimi, di provvedimenti giudiziari non motivati, di ritardi biblici nel settore civile dove i processi durano anni e dove la prevedibilità della decisione, che dovrebbe essere un principio cardine in un sistema giudiziario che si voglia considerare efficiente, è un miraggio. Ecco, questo 99,89 di magistrati valutati positivamente fa a pugni con ciò che accade nei tribunali italiani. Da Aosta a Trapani.

Quanti sono i magistrati bravi?

Lo disse chiaramente anni fa anche l’allora primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio, il primo magistrato d’Italia, sottolineando che non era nemmeno lontanamente immaginabile che in una comunità di quasi diecimila persone, quanti sono i magistrati italiani, fossero stati tutti bravi.

Le pagelle, come spesso capita quando i buoi sono scappati, è stata quindi la classica ‘pezza’ da parte della politica, ovviamente perfettibile, ad un sistema di valutazione gestito dagli stessi magistrati e che si e sempre rifiutato di prendere in considerazione le inchieste flop, le sentenze sballate, i macroscopici errori in punto di diritto dei colleghi.

L’emendamento

La nuova disposizione è stata prevista a seguito di un emendamento di Enrico Costa alla riforma Cartabia. Trattandosi di una legge delega, e terminata la legislatura prima del tempo, è toccato al governo Meloni il compito di dargli attuazione. L’esecutivo, appena insediatosi, nominò dunque una Commissione ministeriale per scrivere i relativi decreti attuativi. La Commissione, composta da ben 18 magistrati (di cui 10 efuori ruolo) su 26 membri, è però riuscita nell’intento di ‘annacquare’ il meccanismo che era stato previsto, cancellando l’obbligo di prendere in considerazione l’intera attività svolta dal magistrato ma solo alcuni atti “a campione”. Con la previsione, poi, di una parolina magica: “Gravi anomalie”. Per penalizzare la carriera del magistrato, l’eventuale rigetto delle richieste cautelari o la riforma e l’annullamento delle decisioni, potranno in questo modo essere prese in considerazione “ove assumano, anche in rapporto agli esiti delle decisioni e delle richieste adottate dai magistrati appartenenti al medesimo ufficio, carattere di marcata preponderanza e di frequenza rispetto al complesso degli affari definiti dal magistrato”.

Tutto come prima

Il magistrato, insomma, per poter essere valutato negativamente dovrà sbagliare la maggioranza dei suoi processi. Quindi tutto come prima. Il nuovo meccanismo era stato pensato per valorizzare i più bravi, permettendogli di fare carriera senza dover chiedere favori a Luca Palamara o a chi per esso. Il risultato sarà invece che i magistrati continueranno ad essere tutti bravi e la loro carriera sarà legata a logiche spartitorie basate sulla appartenenza correntizia. Nonostante sia stata annacquata, l’Associazione nazionale magistrati è salita lo stesso sulle barricate, ed il Csm ha espresso questa settimana, su richiesta di Nordio, un parere molto critico, affermando che dare un giudizio ‘discreto’, ‘buono’, ottimo’ ad un magistrato significherebbe metterne in discussione il prestigio e l’autorevolezza. Della serie, chiunque può essere giudicato tranne chi veste la toga.