L’agenda Davigo declinata da Repubblica

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Il direttore del quotidiano di Largo Fochetti, Calabresi, fa il pragmatico, ma chiede solo riforme dettate dai pm

di Redazione | 25 Aprile 2016 ore 15:18 Foglio

Quanto è vecchio e démodé lo scontro tra magistratura e politica, signora mia! “Una guerra fuori dal tempo”, l’ha definita ieri Mario Calabresi, il direttore di Repubblica, ostentando toni altezzosamente pragmatici (“voglio partire subito dal fondo, dai possibili rimedi, anziché fare per l’ennesima volta l’analisi dei problemi e di torti e ragioni delle due parti”). Nessuno qui vuole negare che il quotidiano di Largo Fochetti stia attraversando, dopo la successione di Calabresi all’ex direttore Ezio Mauro, un processo di “laicizzazione” del proprio tradizionale assetto ideologico-battagliero di cui non abbiamo mancato di dare conto su queste colonne. Tuttavia ieri, scavando appena un po’ sotto i toni apparentemente terzisti con cui il direttore evocava la polemica tra Associazione nazionale magistrati (Anm) e governo, emergeva un appiattimento unilaterale sulle posizioni della giustizia ultra politicizzata.

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Scrive per esempio Calabresi che occorre “una serie di misure che dimostrino la volontà di restituire efficienza e dignità al sistema giustizia, e questo deve essere fatto non tanto perché lo chiede la magistratura”. Primo problema: sfidiamo noi a trovare, nelle pur numerose interviste concesse dal presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, un accenno alla maggiore “efficienza” da restituire alla giustizia: i magistrati italiani, secondo Davigo, sono i più efficienti d’Europa, e perfino il sovraffollamento delle carceri viene derubricato a problema di edilizia (mai un accenno alla irragionevole durata dei processi). Continua poi il decalogo di Calabresi: occorre “subito” l’allungamento della prescrizione altrimenti si alimenta “l’impunità”; e poi è necessario “stanziare risorse per migliorare il funzionamento dei tribunali”; ancora: “Che fine hanno fatto le proposte” per Palazzo Chigi di “magistrati di spessore come lo stesso Davigo e Nicola Gratteri”?

Sono esattamente le tre priorità del tandem Davigo-Fatto quotidiano. Curioso. Ma Calabresi, pragmaticamente, ci mette del suo: il governo deve cambiare i meccanismi di finanziamento della politica, poi prendere di mira “le auto blu e gli altri privilegi ‘di casta’ a carico del contribuente, la case in affitto a prezzi irrisori, i doni di lusso (ma anche le raccomandazioni e assunzioni di ‘figli di’). Cosa c’entri tutto ciò con “l’efficienza e la dignità” della giustizia, non si capisce. Responsabilità civile? Separazione della carriere? Correntismo esagerato? Questi non sono argomenti che attirano l’attenzione di Calabresi, che invece vuole sì cambiare le regole sulle intercettazioni, ma seguendo il “modello” dell’autoregolamentazione inventato da “procuratori di primo piano come Pignatone e Spataro”. In quest’ottica, dunque, il monopolio delle questioni di legalità diventa appannaggio della magistratura; alla politica tocca solo autoflaggellarsi o, nel migliore dei casi, riformare la giustizia sotto dettatura dei giudici. Una strana e paurosa Repubblica.

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