Pompei vendicata e la cultura della gnagnera

Categoria: Italia

Uno scoop vendicato un anno dopo: Pompei è bella e lotta insieme a noi. Appunti in libertà sulla cultura della gnagnera

Pompei

di Giuliano Ferrara | 03 Maggio 2016 ore 06:15

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Un anno fa feci uno scoop. Scrissi qui che Pompei era un bel parco archeologico, non so se mi spiego.Tenuto bene. Pulito (una sola bottiglietta di plastica fuori posto in tre ore di visita). Che da Napoli, in una bella giornata di aprile, era fantastico raggiungere il sito viaggiando sulla Circumvesuviana, tra le ville romane del miglio d’oro e il Vesuvio, passando per Ercolano. Pare che nel trenino s’infiltri talvolta un po’ d’acqua, quando viene giù a catinelle, e che “la più bella metropolitana del mondo”, definizione scandalosa e ovvia, faccia lamentare talvolta disservizi. A Pompei era in corso un progetto di non so quale ente, immagino di promozione pubblica e governativa, e lavoranti lieti e festosi, come in una cartolina nelle loro divise, s’intravedevano tra impalcature leggere provvisorie, intenti a migliorare la situazione e a curare le mansioni conservative di un’area dissepolta millesettecento anni dopo la famosa eruzione ed esposta alle intemperie e alla corrosione del tempo, nemico arcigno di tutto ciò che è, garante della terra e dell’universo infinito. Niente di approfondito, una passeggiata di primavera con un caro amico, la registrazione umorale e di pelle di quanto avevo visto e, per i saccenti, “esperito”.

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Sabato scorso un grande giornale nazionale, Repubblica, ha dedicato due pagine al “miracolo” della resurrezione archeologica di Pompei, allo sbigliettamento fenomenale del 2015, alle riscoperte, ristrutturazioni & restauri che restituiscono all’Italia, a Napoli e al mondo una delle cose più intensamente e inequivocabilmente belle che ci siano. Il mio piccolissimo scoop, allora incompreso e sbeffeggiato da molti, è perfettamente vendicato dagli approfondimenti professionali di Repubblica, con una teoria sterminata di dettagli e di indicazioni utili. Ma penso a tutti gli anni in cui, essendo la situazione più o meno la stessa che avevo visto e calpestato in quella giornata d’aprile, abbiamo usato Pompei, dico Pompei, come leva per infangare i ministri della cultura pro tempore, abbiamo vissuto con l’incubo di essere i soliti italiani sciatti, quelli che Franco Cardini condanna con filisteismo allo stereotipo del parcheggio doppia fila, dell’indifferenza amorale, indegni di custodire un luogo cosí santo e irrimpiazzabile nella sua rarità.

Penso a quanto siamo stronzi, pessimisti, autolesionisti e cinici addossandoci il carattere come colpa, certe trascuratezze come incurabile abito mentale, quando invece possiamo fare parecchie cosette buone per l’umanità e per noi stessi, e con un minimo di impegno. Senza tirarcela, senza pignolerie, senza l’orgoglio di essere una razza ordinata e fattiva, operosa e costruttiva. Penso che la realtà si mostra per quello che è allo sguardo semplificato e candido, ma anche un poco callido, del passeggiatore, dell’osservatore che non si fa intimidire dalle formule di rito e dalla geremiade ossessiva sulla nazione perduta. Vorrei applicare quello stesso sguardo a molte altre cose e comportamenti e accidenti di un mondo che i media mi mostrano tutti i giorni corrotto, corroso, avido, ingiusto.

Come per la Salerno-Reggio, altra storia alla Pompei di un’autostrada che è sempre esistita, da quando la costuirono i governi di centrosinistra sotto l’impulso felicemente “clientelare” del grande Giacomo Mancini, e ha sempre fatto la sua parte di condurti da una città all’altra, salvo la necessità ovvia di ammodernarla. Come per il Cara di Mineo, che secondo me si presenta come una specie di college in cui non è male approdare dopo il folle volo migratorio tra le onde del Mediterraneo (e vedo che adesso tutti in Europa si complimentano per quanto fa l’Italia in materia di accoglienza). Come il Mose di Venezia, opera forse immortale degradata a greppia da inchieste che hanno rivelato una risibile quantità di contropartite corruttive, risibile a petto di quanto fu fatto in termini di tecnologia inventiva impegno. Non siamo come i retori americani, non c’è e mai fu sognato, un sogno italiano. Siamo un paese universale e fatuo. Ma quell’aura di incubo in cui ci facciamo vivere per piccola faziosità e gusto della gnagnera si dissolve al primo sguardo, al primo scoop del realismo e della benevolenza.

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COMMENTI

alessandro longo • 7 ore fa

A Ggiulià, quando fai così mi piaci. Io sono orgoglioso di essere italiano e anche soprattutto romano, non mi vergogno di attraversare la strada con l'omino rosso, stando attento però, tanto devo stare attento anche se l'omino è verde. Tempo fa ero a Losanna: tutto ordinato, se mi avvicinavo alle strisce le macchine si fermavano anche 50 metri prima, e pure le moto! una noia, una tristezza! non c'era gusto!

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Mario Mauro • 9 ore fa

Caro Ferrara, per fortuna l'Italia è infinitamente migliore di come spesso la si descrive e da come la percepiamo noi stessi.

Pensi che siamo, a mia conoscenza, il primo paese che, finalmente, centocinquant'anni dopo che Victor Hugo ci commosse con la storia del pane rubato da Jean Valjean, ha ufficialmente stabilito con sentenza della Cassazione che chi ruba per fame non è punibile.

Lasciando da parte ogni altra considerazione, ci pensa all'enorme passo avanti fatto, dall'umanità, dopo migliaia di anni da quando al primo che cercò di sottrarre un capretto dal gregge del vicino non si chiese se per caso avesse fame prima di accopparlo? Ed è tutto merito nostro.