Smettiamola, vi prego, con la “questione morale”

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Renzi riscopre l'espressione come simbolo identitario e unificante. Ma la “questione morale” è oggi un concetto vuoto. Che annulla la responsabilità politica in favore della tecnocrazia legalista

Commento 1

di Francesco Cancellato Linkiesta 11.5.2016

Per i più piccini: era il 1977 quando Enrico Berlinger, allora segretario del Partito Comunista Italiano fece della questione morale «la questione politica prima ed essenziale» del Paese. Diceva, Berlinguer, che solo attraverso la sua soluzione sarebbe dipesa «la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico».

Belle parole, quelle di Berlinguer, riproposte ciclicamente - soprattutto a sinistra - ad ogni stormir di inchiesta che coinvolga esponenti politici. Un feticcio usato da Oscar Luigi Scalfaro, nel suo discorso di insediamento a presidente della Repubblica, nel 1992, agli albori di Tangentopoli e pochi giorni dopo l’attentato a Giovanni Falcone. O da Matteo Renzi, qualche sera fa da Fabio Fazio, ammettendone l’esistenza all’interno del suo partito, dopo che già in occasione delle europee del 2014 l’eredità di Berlinguer fu causa di un acceso dibattito con il Movimento Cinque Stelle - ricordate? «Dovete sciacquarvi la bocca quando parlate di Berlinguer», disse il premier.

Resta da capire, a distanza di quarant’anni, come si debba affrontare questa benedetta questione morale. O, meglio ancora, se abbia senso affrontare la malagestione della cosa pubblica utilizzando la categoria della moralità come cartina tornasole. Anziché, per dire, quelle dell’utilità pubblica, dell’efficienza, dell’equità.

Non stupisce, allora, che ormai gli amministratori onesti - i perfetti interpreti in Terra della questione morale - coincidano spesso con quelli che alzano le mani e declinano ogni responsabilità

Non ce ne voglia l’anima di Berlinguer, ma l’eredità della sua questione morale è oggi una scatola vuota. Riempita, al più, da un intransigente proceduralismo, di cui l’attuale presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Piercamillo Davigo è perfetto interprete. Una via, cioè, di affrontare la questione morale della politica togliendo alla politica ogni spazio di discrezionalità, soffocando la sostanza con la forma. Facendo, soprattutto, della magistratura e delle sue inchieste il supremo guardiano della moralità.

Lungo questa strada, la politica non ha certo smesso di essere “sangue e merda”. Il caso di Lodi, a suo modo, è esemplificativo dell’ipocrisia del proceduralismo morale in cui siamo immersi. Il sindaco Uggetti potrebbe affidare direttamente le piscine alla società da lui desiderata, ma preferisce indire una gara e taroccarla, pro forma. E di fatto “scrive” il bando, nonostante l’onere della firma in calce spetti ai dirigenti del Comune. Lo stesso vale per il sindaco di Livorno Nogarin, che si ritrova tra le mani un avviso di garanzia e una richiesta di dimissioni per aver sollevato il caso della malagestione di Aamps, la municipalizzata livornese dei rifiuti.

Non stupisce, allora, che gli “amministratori onesti” - i perfetti interpreti in Terra della questione morale - coincidano spesso con quelli che alzano le mani e declinano ogni responsabilità. Interessati più alla perfezione formale del loro agire, e non invece alla loro sostanza politica. Così facendo, la questione morale sovrasta e appiattisce la questione della responsabilità. E forse è questo l’effetto distorto della pervicace ricerca di moralità in politica: che nessuno si prende più la responsabilità di fare le cose.

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COMMENTO

Pierino. Che poi lo diceva il PCI verso il quale l’Urss faceva viaggiare finanziamenti di sostentamento e aveva i missili puntati sull’Italia. Bel moralismo !!!