PUNTI DI VISTA. Comunali, il ballottaggio riapre i giochi?

Categoria: Italia

«Chi è in svantaggio può vincere», dice Ceccanti. Come accaduto in Sudamerica. Sartori caustico: «Assistiamo a un pastrocchio. La gente non sa per chi vota».

di Francesca Buonfiglioli | 06 Giugno 2016, LETTERA43

Roma, Milano e Torino come Perù e Austria?

Tutto può essere. Perché «il ballottaggio è un'altra partita rispetto il primo turno».

Stefano Ceccanti, ex senatore Pd, costituzionalista e professore a La Sapienza si dice ottimista in vista del secondo turno.

I GIOCHI SI RIAPRONO.«Al primo si sceglie il candidato più vicino», spiega a Lettera43.it, «al secondo si elimina il più lontano. In altre parole, non deve prevalere colui che ha contro una maggioranza».

È così che Pedro Kuczynski del partito Peruviani per il Cambiamento ha vinto lo scontro contro Keiko Fujimori nonostante partisse da un magro 21%. E il verde Alexander Van der Bellen, dato in svantaggio, ha avuto la meglio sul favorito di estrema destra Norbert Hofer.

«Diciamo», continua Ceccanti, «che al ballottaggio si arriva o meno favoriti a seconda della percentuale raggranellata al primo turno». Ma «cambia la base elettorale, e la partita si riapre».

Per questo, secondo il professore, è un puro esercizio lanciarsi in calcoli e ipotizzare accordi e alleanze.

SARTORI: «UN SISTEMA ASSURDO». Alleanze che Giovanni Sartori vede come il male assoluto. «Una assoluta idiozia», ripete a Lettera43.it. «Da evitare».

Il politologo non risparmia certo il sistema elettorale che bolla come «assurdo», un «pastrocchio concepito da persone ignoranti». Che non permette di azzardare un pronostico: «Aspettiamo le alleanze...vedremo».

E punta il dito contro la spoliticizzazione del confronto elettorale. «Avevamo il candidato della lista del fiorellino e quello della lista del pisello...», sorride amaro. «La gente non sapeva per chi votava... non identificava il partito». Perché la gente, insiste il professore, «è disinteressata, a informarsi e leggere è solo un 10% degli italiani».

Ballottaggi con molte incognite

Vero è però, come hanno notato molti osservatori, Alfio Marchini, col suo quasi 11% potrebbe dare ossigeno a Roberto Giachetti rispolverando quello che fu il Patto del Nazareno. E allo stesso modo, gli elettori di Giorgia Meloni, «per sistema anti-sistema», potrebbero optare per Virginia Raggi, anche per dare una spallata al governo.

«Pure induzioni», le liquida però Ceccanti. «In realtà nulla può pilotare il voto». Nemmeno un partito.

OGNI SCHEDA FA STORIA A SÉ. E non è nemmeno detto, sottolinea, «che tutti votino come al primo turno». Ogni elezione fa storia a sé. Di più: ogni scheda fa storia a sé.

Un esempio? Livorno e Padova. Nel 2014, ricorda Ceccanti, il Pd vinse alle Europee e perse i due Comuni. Il tutto nello stesso giorno.

Il voto nelle città «è retrospettivo», un giudizio sulle precedenti amministrazioni.

IL FATTORE MARINO.Un tasto dolente per Roma, dove buona parte dei dem non hanno digerito il tradimento del partito nei confronti di Ignazio Marino.

Ceccanti non condivide questa lettura, anzi. «Nella Capitale la maggiore partecipazione ha favorito i 5 stelle. Il risultato di Giachetti», aggiunge in linea con quanto dichiarato da Renzi, «è buono».

Se il Pd ha una responsabilità a Roma, «è non aver sostituito Marino prima, in quanto non in grado di fare il sindaco».

Con una piena amministrazione marziana, è il ragionamento, il risultato sarebbe stato anche peggiore.

Il rigore rimandato di Sala e l'old fashion Merola

Ma le preoccupazioni non sono solo nella Capitale. Scotta anche la non brillantissima performance di Beppe Sala a Milano. Perché se è vero che Mr Expo è stato scelto da 60 mila milanesi, come hanno ampiamente precisato a caldo esponenti Pd come Lia Quartapelle e il ministro Maurizio Martina, è anche vero che Renzi ha puntato molto su un nome noto anche se non esattamente di sinistra.

Tanto che in chiusura di campagna ha ricordato al suo candidato: «Vincere qui è un calcio di rigore. E come ha dimostrato la finale di Champions League disputata proprio a San Siro, i calci di rigore si possono solo sbagliare».

Per il momento Sala è costretto giocare i supplementari contro Stefano Parisi intorno al quale si è ricoagulato il centrodestra.

«PISAPIA? UNA ECCEZIONE».Il fatto che gli ultimi cinque anni il governo della città sia stato al centrosinistra, per Ceccanti non cambia molto le cose. «A Milano dal 1994 vince il centrodestra, eccezion fatta per Giuliano Pisapia. Sala difficilmente poteva fare di meglio».

E lui lo ha ricordato: «Il primo tempo è finito 1 a 0. Ora palla al centro. Il risultato non è disprezzabile, un ottimo punto di partenza». Si vedrà il 19 giugno.

Poteva invece fare di più Virgilio Merola a Bologna che dovrà sfidare la leghista Lucia Borgonzoni.

«Meglio che incontrare i 5 stelle», fa notare Ceccanti, «lì Merola che rappresenta la sinistra old style avrebbe pagato il confronto tra vecchio e nuovo». Con la Lega il match è sicuramente più facile. Sulla carta almeno.

Forse però il sindaco dem, che ha recentemente firmato insieme con la Cgil contro il Jobs Act, ha pagato pure l'essere il meno renziano dei frontman piddini.

NAPOLI VERSO IL COMMISSARIAMENTO. L'unica débâcle reale è quindi a Napoli. Dove la renziana Valeria Valente non è arrivata nemmeno al ballottaggio.

«Si ripete lo spareggio della scorsa tornata elettorale», prosegue Ceccanti. «De Magistris è ancora contro il centrodestra».

Ma guai a puntare il dito contro la candidata. E «nemmeno contro il supporto dei verdiniani», che non avrebbe inciso sul flop.

Anche perché in città alle Regionali vinse Vincenzo De Luca.

«Il problema c'è e sta nel gruppo consigliare democratico», conclude il costituzionalista. «Che ha fatto in 5 anni di opposizione?».

Il Pd napoletano verso il commissariamento? La strada ormai sembra obbligata.

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