Raggi, il ballottaggio e la fenomenologia del grillino impegnato a non far paura

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La metamorfosi in “Cinque Stelle pacati” va in scena in un bunker nell’Ostiense inoltrato

di Marianna Rizzini | 07 Giugno 2016 ore 06:15 Foglio

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Roma. E certo adesso, nel giorno della felicità a Cinque Stelle, con Virginia Raggi che arriva prima a Roma e Chiara Appendino che a Torino si piazza seconda, e con i ballottaggi pronti lì davanti, si deve cercare di tenere a bada il timore del cosiddetto “ribaltone austriaco”: è capitato infatti neanche un mese fa, in Austria, che il candidato vincente al primo turno delle presidenziali (Norbert Hofer, capo dell’ultradestra) venisse sconfitto di misura al secondo dall’avversario ecologista Alexander Van der Bellen, un verde non antisistema. E dunque, nel giorno del “Virginia che vola” e del “Chiara che è straordinaria”, il problema, a casa Cinque Stelle, è prima di tutto il non spaventare trasversalmente (tantopiù che anche il Fatto quotidiano insiste sulla presenza “rassicurante” di Raggi e Appendino). Contenti, sì, ma con un dubbio: si sarà convinto, l’elettore incerto, che il “vaffa” grillesco, ora dimenticato pure dal Beppe-garante che vuole fare altro, si è rovesciato nella forzata pacatezza da forza “aspirante governativa”, e nel tono basso che faccia percepire i candidati come “persone normali”? E così, nell’incertezza pur ottimistica del domani, e nella notte in cui arrivano primi, i Cinque Stelle, chiusi in un bunker nell’Ostiense inoltrato, quartiere glorioso per i cineasti che piacevano al Pd che piaceva (Ferzan Ozpetek) nonché terra di mezzo dei colloqui Matteo Orfini-Ignazio Marino, devono acconciarsi a forza tranquilla che vuole “convincere chi non è andato al voto” (Alessandro Di Battista), “temere quelli che non ci hanno scelto”, portandoli a “investire sul loro futuro” (Roberta Lombardi) e “non tradire la fiducia” concessa dagli italiani, sentendosene “onorati” (Luigi Di Maio).

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La metamorfosi in “Cinque Stelle pacati” va in scena lì, alle due di notte, poco prima e poco dopo che Virginia Raggi compaia in pubblico, al termine di un lungo e prudente titubare (“attendiamo le proiezioni”, “almeno il venti per cento del campione”, è il mantra), per dire un “ciaoo” sospirato e accorato (“ echi non sarebbe emozionato?”, chiede la candidata), seguito dalla frase “il vento sta cambiando”, con accento lirico sulla giornata “storica”. Ma se, nei giorni scorsi, su Facebook, i burloni avevano lodato la vis a tratti melodrammatica – al limite del tono-telenovela – della candidata a Cinque Stelle, ieri il divertissement doveva lasciare il posto al realismo (della serie: “Ao’, questa vince”, tantopiù che Raggi, proiezioni alla mano, diceva di essere “pronta a governare”). E nel buio del profondo Ostiense, senza neanche un Gazometro all’orizzonte, tra un cancello e una ringhiera e le finestre marrone-blu da albergo ibizenco e i pullman che scaricavano non (come speravano i cronisti assiepati) frotte di parlamentari a Cinque Stelle in vena di intervista, ma comitive di turisti ignari e in ciabatte, pronti a ritirarsi nel vicino hotel, si poteva notare anche la notturna trasformazione del tribuno (di nuovo Di Battista) in politico di tendenza riflessiva che parla di “deflazione” e “stagnazione” e del “quanto siamo cresciuti” e dei sabati e delle domeniche operose in piazza con i cittadini e del fatto che al referendum “ci si penserà poi”, con calma – e non pareva nemmeno Di Battista, quel Di Battista pensoso, non fosse che a Di Battista, nel collegamento con “Porta a Porta”, era comunque scappata la lite con il direttore del Tg1 Mario Orfeo. Ma forse era solo un riflesso condizionato, tipo braccio del dottor Stranamore.

Perché poi, con Raggi che inneggiava allo “splendore e alla bellezza” della città da conquistare, la nostalgia del “vaffa” a Cinque Stelle doveva restare a tutti i costi nostalgia. A partire dal blog di Grillo: non bastava infatti che Grillo si rinserrasse nella sua lampada di Aladino, uscendone soltanto per dire che il M5s si stava espandendo a macchia d’olio” e aveva “reso possibile l’impossibile”. Serviva il vestito nuovo dell’autocontrollo e della modestia (e infatti Di Maio, in un video sul blog del Garante, raccomandava alla truppa di “non adagiarsi sugli allori”). E anche se dopo un’ora dalla chiusura dei seggi si era capito che Raggi aveva passato il  turno in prima posizione, Raggi temporeggiava, mentre dietro la grata al secondo piano del bunker (non “loft”) si stagliavano le sagome in ombra di questo o quel parlamentare del Direttorio: non bisognava dire gatto finché il gatto non era nel sacco, non bisogna dirlo proprio (e ieri Grillo consigliava infatti un incredibile e anti-utopico: “Piedi per terra”).

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Calvo. E poi uno dice che la politica è facile da capire. Roma è stata considerata la città dello sperpero con il 90% di impiegati pubblici detta Burocrazia e che sperpera denaro pubblico. Il M5s voleva, vuole ribaltare la rendita statale e quindi è per rivoluzionare il lavoro a Roma. Rottamare.  Succede però che gli è destinato a farsi “impiccare” voti per il suo aguzzino. Qualche cosa non torna.

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