Non sparate sul carabiniere

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Appunti preventivi per non strumentalizzare il caso Rosarno

Carabinieri a Rosarno (foto LaPresse)

di Redazione | 08 Giugno 2016 ore 18:57 Foglio

Nella tendopoli di Rosarno un carabiniere intervenuto assieme ad altri agenti per sedare una rissa è stato colpito, forse con altri tre tutori dell’ordine, e ha reagito sparando un colpo di pistola che ha ucciso l’aggressore (secondo una prima versione il colpo potrebbe essere partito accidentalmente). Per ora in questa storia ci sono molti forse, che dovranno essere chiariti (compreso il fatto che secondo una ricostruzione il militare sarebbe stato colpito da un pezzo di ferro lanciato da uno dei residenti del campo). Ma la sostanza degli avvenimenti è abbastanza chiara. Quello di Rosarno non è un centro di raccolta di immigrati, ma una struttura destinata a centinaia di lavoratori temporanei impiegati nella raccolta delle arance nella piana di Gioia Tauro. Il campo, realizzato dalla Protezione civile, a quanto pare non è gestito da nessuno per mancanza di fondi. Sei anni fa, nel gennaio del 2010, proprio a Rosarno si era verificata una rivolta dei braccianti, avevano invaso le strade del paese dando vita a una specie di guerriglia urbana. E’ di un certo interesse inquadrare la vicenda odierna nella situazione di sostanziale anarchia in cui è stata lasciata questa comunità, nella quale solo gli interventi delle forze dell’ordine rappresentano un segnale della presenza dello Stato. I carabinieri e gli agenti di polizia hanno fatto il loro dovere, sono intervenuti su segnalazione diretta per evitare che una rissa degenerasse e hanno reagito. Sarebbe insensato se qualche magistrato in cerca di evidenza mediatica adesso li accusasse di eccesso di legittima difesa.

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Quella che invece dovrebbe essere chiarita è la responsabilità delle autorità che per anni hanno lasciato degenerare una situazione che non è di emergenza. Ogni anno arrivano nella zona migliaia di lavoratori temporanei, soprattutto africani, per i quali non è stata approntata alcuna struttura civile. Questa vicenda non ha nulla a che fare con l’immigrazione clandestina che presenta flussi imprevedibili e incontrollabili. Non può essere strumentalizzata da chi ha un atteggiamento di rigetto generalizzato verso l’immigrazione, ma smentisce anche l’opposta narrazione di immigrati dipinti a prescindere come angeli. In tutte le comunità umane ci sono persone per bene e delinquenti. Spetta all’organizzazione pubblica creare le condizioni che consentano ai lavoratori di esercitare le loro attività, per quanto umili, in condizioni decenti e di ricevere una retribuzione non schiavistica. Contemporaneamente chi sta sul territorio italiano deve rispettare le leggi, avere rispetto per i tutori dell’ordine e isolare i fomentatori di violenza. Sono cose ovvie, ma a Rosarno, nel campo di lavoro di Rosarno, non hanno valore. Lì vige una specie di legge della giungla, fatta di sfruttamento, incuria e inosservanza delle normali regole del vivere civile. Non sarà certo un carabiniere che ha fatto con dedizione il suo mestiere a doverne rispondere.    

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