Forza Parisi

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Lepenismo no grazie. A Milano Parisi ha perso ma ha indicato l’unica via per un centrodestra possibile: riformista, unito e moderato. Appunti sulle critiche sballate di Sallusti, Toti e Salvini

di Maurizio Crippa | 21 Giugno 2016 ore 15:42 Foglio

Poche cose dovrebbero essere chiare come questa: che l’unico posto in cui il centrodestra ha avuto, pur perdendo, un buon risultato – tale almeno da certificarlo in vita e (quasi) in salute è Milano. Perché si è presentato unito, riformista, moderato e con un candidato di ottimo profilo: non un populista o un apparatnik di partito qualsiasi. Ma, viste le dichiarazioni del post-voto, la cosa ancora più chiara è questa: nel centrodestra hanno già ricominciato a litigarsi sulla mobilia e quel che resta di una leadership senza possibili eredi, e soprattutto non sanno dove andare.

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Alessandro Sallusti, sul Giornale, è riuscito a scrivere che “ha perso Parisi, per un errore di valutazione. Dopo il miracolo del primo turno, ha pensato di poter fare da solo e ha preso platealmente le distanze dai partiti che lo sostenevano. Solo che il centrodestra non è l’antipolitica, è ‘la’ politica”. Accusare Parisi di antipolitica? Dal Giornale? Lo stesso Giornale da cui Augusto Minzolini critica Parisi per non aver lanciato “nessun messaggio al 10 per cento del M5s”? E per non aver “provato a mettere in imbarazzo la sinistra estrema, magari schierandosi per il no al referendum”. No al referendum?

Giovanni Toti, a Libero: “Non sempre l’uomo della Provvidenza rappresenta realmente un valore aggiunto. A Milano avrebbero  fatto un’ottima figura anche esponenti della nostra classe dirigente”. Detto dall’uomo che ha vinto in Liguria per la Provvidenza del suicidio della sinistra, è un bel dire.

Mariastella Gelmini, che pure aveva detto che “Il modello che abbiamo proposto a Milano, che è lo stesso che governa in Liguria, Lombardia e in Veneto, è quello vincente. No a litigi e conflittualità: massima unità tra le forze politiche”, s’è lasciata sfuggire un “c’è stato un po’ di scollamento tra il candidato Parisi e i partiti di centrodestra”. Scollamento? La banale verità è che i leader del centrodestra pensano più a non trovarsi Stefano Parisi come competitor sul piano nazionale (lui del resto non ci pensa), che a costruire sulla via anti-populista e riformista indicata da Milano. Come del resto ha detto un imbufalito Gabriele Albertini: i partiti del centrodestra non hanno puntato sulla lista civica di Parisi per paura di perdere il loro elettorato. Scelta miope, come ha dimostrato invece la lista civica per Sala.

Per non dire di Matteo Salvini, lo sciagurato che perse Varese: “Milano insegna che il dentro tutti non paga. La formula moderata era sbagliata e le minestre riscaldate la gente non le mangia”. Avevamo scritto, sul Foglio, al momento della sua candidatura, che il vero nemico da cui Parisi doveva guardarsi erano gli alleati. Lui ha quasi fatto il miracolo, ha tirato fuori il centrodestra dal tombino e ha indicato la strada a che intenda governare e non solo berciare, prima o poi. Ma tornare a governare, con questo centrodestra, sarà dura. Forza Parisi.

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