LINCE. Aziende e finanza, lo sciocchezzaio italiota

Categoria: Italia

I santi in paradiso (e in Philip Morris) del boss Ferrari. Caltagirone fuori da Acea che parla come uno di Sel. L'intreccio Perissinotto. Finint Conegliano-Montebelluna.  Il peggio di Occhio di lince.

di Occhio di lince | 03 Agosto 2016

D’agosto non è rovente soltanto il sole.

Anche lo sciocchezzaio italiota si fa incandescente, e la vostra Lince vi getta i suoi occhi felini sopra.

Ecco l’ennesimo risultato.

Arrivabene ancora in sella grazie a Philip Morris: vero Marchionne?

La Ferrari arriva male ai traguardi.

Sono settimane e molti gran premi che si attende la defenestrazione del suo direttore, Maurizio Arrivabene, uno che da quando è arrivato a Maranello ha regolarmente tradito il suo cognome.

La cacciata però non arriva, nemmeno dopo l’ennesimo flop al Gp di Germania.

Anzi, arriva via Corriere della sera (a proposito, informate Daniela Dallera, che registra con soddisfazione la battuta «mica fabbrichiamo delle Smart», che Sergio Marchionne non è più padrone a via Solferino) la conferma piena, insieme a quella dei piloti, da parte di “mister maglioncino”.

ENNESIMA RIORGANIZZAZIONE. Così l’unica vittima sacrificale è quella del direttore tecnico, o chief technical officer per dirla da forbiti, James Allison, al cui posto va Mattia Binotto, con la scusa che dopo la morte improvvisa della moglie deve badare ai figli.

Marchionne, contento del bilancio ma deluso dalle prestazioni sportive, ha annunciato che vuole usare la pausa ferragostana per studiare l’ennesima riorganizzazione, mentre lo stesso Arrivabene parla ormai della stagione 2018, dando per defunta questa.

Eppure il capo di Fca su Ferrari ci ha messo la faccia, specie dopo le sprezzanti dichiarazioni che ha rilasciato a commento della conduzione Montezemolo.

E il suo decisionismo è ben noto. Allora perché non rifila la classica pedata tipica del “qui comando io” al più alto in grado del team del Cavallino? Solo perché l’aveva scelto lui?

La spiegazione non regge e la domanda rimane inevasa.

A meno che la spiegazione non la si vada a cercare altrove. E più precisamente a Losanna, sulle rive del lago Lemano.

TRA MOGLIE E BOARD. Cioè dove ha sede la Philip Morris, la multinazionale del fumo in cui Arrivabene ha passato una vita e dove sua moglie tuttora collabora. E nel cui board siede proprio Marchionne.

Philip Morris dà ogni anno alla Ferrari 70 milioni di sponsorizzazione (senza poter far vedere alcun marchio, il doppio di quello che paga il Santander che invece è visibile quanto un tempo era Marlboro).

Ecco dunque svelato il mistero: il rapporto Marchionne-Arrivabene va ben al di là della Ferrari, ed è a prova persino di sorpasso della Red Bull, la cosa che ultimamente ha fatto più incazzare il Sergio di ferro, persino più della cantonata presa dal suo presidente John Elkann nella vicenda Rcs.

Caltagirone pare uno di Sel: facile, ora che ha ceduto la sua quota in Acea...

Il confine tra la diplomazia e buone maniere, da un lato, e le bugie, dall’altro, è notoriamente sottile.

Stavolta l’ingegner Francesco Gaetano Caltagirone, di solito silente e molto misurato quelle poche volte che parla, quel confine l’ha saltato a piè pari.

In attesa di imbarcarsi per la solita crociera estiva (a proposito, chissà se gli hanno rimesso a posto il suo amato yacht The One, un 70 metri del valore di una cinquantina di milioni disegnato dal famosissimo architetto Jon Banneberg, pezzo unico e rivoluzionario nell’ambito delle grandi imbarcazioni da diporto, andato a fuoco in Turchia a gennaio 2016), il Calta ha rilasciato un’intervista a La Stampa, nella quale a proposito della situazione della città di Roma - di cui si sente, e la lunga intervista lo conferma, il padrone - trova il modo di agganciare la sindaca Virginia Raggi, contro cui in campagna elettorale aveva scatenato gli alani de Il Messaggero.

VIA LE «INCROSTAZIONI». Sentite un po’ cosa dice: «Ha avuto un consenso plebiscitario, potrebbe essere un’occasione per eliminare le incrostazioni che tanto male hanno fatto a Roma».

E poi: «Io amo giudicare, non pregiudicare», che detta così sembra uscita da un magistrato. Non solo.

A proposito della fase di passaggio tra Valter Veltroni e Gianni Alemanno, se ne esce con un «noi eravamo contrari alle incrostazioni delle lobby», che uno si chiede se ci fa o se ci è.

Con ciò spiega perché riteneva che dopo 18 anni di potere dello stesso colore ci volesse discontinuità, ciò che però Alemanno, ammette ora Calta dopo avergli sussurrato all’orecchio ciò che doveva fare per tutto il mandato, non è riuscito a realizzare. Amen.

Ma è nel passaggio su Ignazio Marino che si vede il vero uomo di potere (forte): «Non era certo un nostro fan, ma quando abbiamo verificato la sua indipendenza (come?, saremmo curiosi di sapere, ndr) il mio giudizio su di lui è cambiato».

FRECCIATA AL PD ROMANO. Non contento rifila un calcio negli zebedei al Partito democratico romano. Udite udite: «Marino stava facendo pulizia proprio delle incrostazioni che avevamo denunciato, così ha subito la violenta reazione di tutti i centri di potere e affaristici della città».

Al che uno si domanda: ma l’ingegnere si è iscritto a Sinistra ecologia e libertà?

No, e te ne accorgi dal fatto che racconta tutto questo dopo aver venduto la sua quota in Acea (a Suez, facendo finta di diventare azionista del colosso francese, ma in realtà prendendo in pagamento azioni che presto trasformerà in denaro sonante), ovvero la vicenda che più gli faceva temere la Raggi e il politburo grillino.

Ora che è uscito da Acea, se ne può fottere e si permette l’inchino alla sindaca. Della serie, hai visto mai...?

Perissinotto risarcito (in ritardo di quattro anni) dopo la cacciata da Generali

Tempismo eccezionale, quello di Enrico Marchi e Andrea de Vido.

Che proprio quando ormai anche i paracarri della marca trevigiana sapevano che stavano per scattare le manette ai polsi di Vincenzo Consoli, hanno offerto a Giovanni Perissinotto la presidenza della Sgr controllata dalla finanziaria Finint, che pomposamente si definisce Banca Finint.

CHIACCHIERE CONFERMATE. Che c’entrano Perissinotto e la merchant di Conegliano con Consoli? C’entrano, eccome se c’entrano.

Infatti l’ex amministratore delegato di Generali, fatto fuori dalla compagnia (nel 2012, dopo 11 anni di regno quasi incontrastato) per gli stessi motivi per cui aveva tentato l’out-out, senza fortuna, Cesare Geronzi, aveva coltivato in prima persona il legame con Finint, che da socio del Leone l’aveva prima supportato e poi difeso.

La chiacchiera, allora, era che il ceo di Generali fosse in qualche modo coinvolto nella società di Marchi e De Vido, e questo ingaggio - seppure quattro anni dopo la defenestrazione a Trieste - starebbe a testimoniarlo.

CONSOLI, CHE INGUACCHIO. E Consoli? Come ha già scritto Lettera43.it, Veneto Banca condivideva con Gianfranco Zoppas (beneficiario di prestiti, azionista ed ex membro del cda della banca) una partecipazione in Ferak, holding che a sua volta attraverso la controllata, oggi sciolta, Effeti (creata con la Fondazione Crt) si era comprata il 2,84% delle Generali da Unicredit.

Ma nella Ferak c’erano anche la stessa Finint e la Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo, finito agli arresti nell'inchiesta Mose per concorso in corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio (ha poi patteggiato), holding di cui Veneto Banca deteneva il 9%.

Insomma, un intreccio che aveva indotto uno che se ne intende come Geronzi a parlare di inguacchio. Ora tutto torna.

(*) Con questo “nome de plume” scrive su Lettera43.it un protagonista e osservatore delle più importanti partite del potere politico ed economico-finanziario italiano.

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