I tribunali servono per evitare i linciaggi oppure per farli in un modo diverso?

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Questo non vuol dire che le indagini non debbano essere fatte. Ci mancherebbe.

 di Pierluigi Magnaschi, Italia Oggi 1.9.2016

L'alluvione informativa sul terremoto di Amatrice, fatta a tappeto e senza limitare i mezzi come, a suo tempo, il bombardamento di Dresda, ha lasciato un po' intontiti i lettori dei giornali generalisti ma soprattutto i telespettatori che sono stati investiti da una gragnuola ininterrotta di colpi bassi. Gli specialisti di catastrofi hanno infatti avuto il via libera, quelli di cronaca nera e rosa pure. I giornalisti giudiziari invece sono rimasti a bocca asciutta, appostati su un ramo, in attesa di entrare in azione. Per cui quando era difficile spremere altre lacrime, si sono fatti avanti loro che, se le cose andranno come sono andate in passato (ma mi auguro di no), avranno lavoro ed esposizione per almeno un anno. Basta disporre di qualche procuratore sinora trascurato e quindi in cerca di visibilità o di notorietà (mi auguro, anche qui, che non ce ne siano più; o non ce ne siano più come in passato) per iniziare una sarabanda di accuse, sospetti, avvisi di garanzia, denunce, chiamate di correo, intercettazioni, rinvii a giudizio. Ovviamente recapitati prima alle redazioni che agli interessati.

Questo non vuol dire che le indagini non debbano essere fatte. Ci mancherebbe. Vuol invece dire che esse vanno fatte con discrezione, anche se con assoluta serietà e determinazione. Alla ricerca cioè delle prove. Senza accendere precocemente i riflettori (al servizio di un'opinione pubblica sempre in attesa di indignarsi) o cercando di costruire, anzitempo, dei mostri. Qualche anno fa si arrivò a rinviare a giudizio e a condannare in primo grado, salvo poi assolverlo in appello, un manipolo di talentuosi e incolpevoli scienziati sismici che erano stati accusati di non essere stati capaci di prevedere il terribile terremoto dell'Aquila. Sarebbe come accusare di negligenza o pigrizia un corridore ciclista che non riesce a correre a 500 chilometri l'ora.

Tutti sanno, salvo chi ha istruito questo processo, che non c'è sismologo al mondo che sia in grado di prevedere «quando» succederà un terremoto. La scienza sismologica infatti riesce a valutare quali sono le zone sismiche, stimandone anche il grado di pericolosità ma nessun scienziato serio, in nessuna parte del mondo, sa prevedere «quando» il terremoto si verificherà. Sta di fatto però che i sismologi dell'Aquila, con il processo che hanno dovuto subire (che, tra l'altro, si svolse a lungo solo sulle pagine dei giornali), e poi con la condanna in primo grado, si videro polverizzare la loro serietà scientifica, vennero esposti alla gogna pubblica, spesero un sacco di soldi per potersi difendere, persero i fondi di ricerca che avevano già ottenuto (chi è che dà più dei fondi a degli avanzi di galera?) e persero le consulenze professionali, anche all'estero, che avevano meritato con i loro studi e le loro competenze, oltre a subire i pesanti contraccolpi emotivi e familiari che nessuno mette in conto, in questi casi, ma che ci sono quasi sempre, perché non si cade impunemente dall'altare alla polvere. Soprattutto se immeritatamente.

Il processo penale, semplificando e sintetizzando, è stato inventato, oltre che per poter raggiungere la certezza giudiziaria, anche per sostituirsi al processo in piazza (che non è un'astrazione ma che fu a lungo praticato, specie durante le rivoluzioni). Il processo in piazza era costruito sulle pulsioni prive di verifiche e sulla certezza che la giustizia istantanea, all'insegna dei motti «impaliamoli!» o «bruciamoli!» o «impicchiamoli!» o «ghigliottiniamoli!» fosse la più efficace perché immediata ed esemplare, all'insegna della certezza che «punendone esemplarmente uno, specie se in modo definitivo, se ne educano cento». Il processo penale invece si avvale di procedure, migliorate (anche se non sempre) negli anni, che dovrebbero consentire la ricerca della verità dei fatti, in contraddittorio fra le parti. Verità che viene alla fine esplicitata nel pubblico dibattimento dove l'accusa e la difesa tirano fuori tutti le carte che sino a quel momento avevano avuto in mano e le sottopongono al giudizio della corte.

La magistratura non deve inseguire i cronisti, né pasturarli. Sono due mestieri diversi.

La logica giornalistica cerca di tener sveglia l'attenzione. Nei primi giorni del dopo terremoto era facile riuscirci. Poi, fateci caso, si è tentato di infilare l'ago degli sciacalli nelle vene dell'interesse pubblico. Ma quell'ago si rivelò secco: quei pochissimi sciacalli che sono stati trovati, erano dei cialtroncelli. E nemmeno rom o rumeni, ma sbandati italiani. Su di loro non ci si costruisce niente. Da qui, in attesa che la magistratura porga polpette più gustose, ecco che è scoppiato ieri lo scandalo (che, al momento però, è tutt'altro che uno scandalo) della scuola di Amatrice che sarebbe «crollata nonostante fosse stata resa antisismica».

Gli stessi giornali che hanno sparato a tutta pagina lo scoop dei «fondi usati per altri scopi», spiegano però, in fondo al loro stesso lungo articolo, laddove non arriva nessun essere umano (se non uno che, come me, è pagato per farlo) che il Comune di Amatrice aveva stanziato, come si legge nella delibera del 29 settembre 2011, la somma di 511 mila euro per realizzare «opere di miglioramento termico, migliorie della pavimentazione, efficienza dell'impianto elettrico, sistemazione del piazzale e del cortile esterno». Non si parlava assolutamente di interventi antisismici che quindi, in base alla delibera, non si dovevano fare. Pertanto è un po' difficile distrarre fondi da obiettivi che nessuno si era posto.

È vero che, con successiva delibera del 25 settembre 2012 del Comune di Amatrice, erano stati aggiudicati altri lavori, questi sì, per «il miglioramento sismico del Polo scolastico verticalizzato» ma stanziando la somma ridicola di 157.500 euro, con la quale, se va bene, si riesce a sistemare una scala, non un intero e colossale edificio.

 

Come mai allora è saltato fuori questo scandalo che, in base agli atti citati, scandalo non è? Probabilmente perché il sindaco di Amatrice, in occasione dell'inaugurazione dei lavori fatti nel complesso scolastico, aveva detto, tutto avvolto dalla fascia tricolore e compiaciuto come un tacchino che fa la ruota, che «l'edifico era stato reso antisismico». Una balla. Ma se per il fatto di dire delle balle venisse incriminato e poi condannato, nessuno politico si salverebbe dall'ergastolo. Non è un tema penale, questo, ma di serietà. E, com'è noto, la serietà non è una materia di esame per accedere alla vita politica. Anzi, chi ha troppa serietà non è adatto a svolgere questo ruolo. Anche perché sono gli elettori a non volerlo: piacciono più, a chi vota, coloro che promettono la luna nel pozzo che non coloro che ricordano che la luna sta sempre lassù.

L'auspicio? Lasciamo lavorare la magistratura con la serietà e la determinazione che richiede il suo ruolo. E politici e giornalisti si dedichino, da parte loro, non a sollevare il polverone (che è il modo più efficace per impedire alla verità di emergere) ma a far sì che vengano modificate leggi e procedure (e soprattutto stanziati fondi), non dico per evitare che queste calamità si ripetano (questo l'obiettivo dei soli demagoghi) ma per almeno limitarne il più possibile le conseguenze.

Pierluigi Magnaschi