Perché in Italia Stato e Chiesa non si combattono proprio più

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«Libera Chiesa e libero Stato», come nella Costituzione americana: «Il Congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, o per proibirne il libero culto».

 di Gianfranco Morra Italia Oggi 5.11.2016

Stato e Chiesa: la ricchezza dell'Occidente è che, in base al «Dio e Cesare» di Gesù, potere temporale e spirituale, se non proprio separati, sono almeno distinti. Nessun cesaro-papismo, come in Oriente, che li confondeva (lo mostrò Sturzo in Chiesa e Stato, 1939). «Libera Chiesa in libero Stato», aveva detto Cavour, spingendo troppo sullo Stato. Meglio: «Libera Chiesa e libero Stato», come nella Costituzione americana: «Il Congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, o per proibirne il libero culto».

Non facile da realizzare.

Spesso i due poteri si sono combattuti, degenerando nel clericalesimo e nello statalismo. Ma queste lotte (investiture, giurisdizionalismi, soppressione dei beni ecclesiastici) erano pur sempre una prova della loro distinzione, corrispondente alla duplice dimensione dell'uomo, cittadino e credente. Così ben definita nell'art. 7 della Costituzione: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».

Ma allora la Chiesa può fare politica? Non direttamente, ma esprimendo, come ogni altro gruppo sociale, la propria valutazione sulla accettabilità etica delle azioni politiche. Non si tratta di invadenza, né di propaganda elettorale, dice soltanto che cosa non è accettabile dalla sua morale. La stessa scomunica del «comunismo ateo» da parte di Pio XII non riguardava un partito, ma una concezione dell'uomo e della società incompatibile col cristianesimo.

Da quel lontano 1948 ad oggi la Chiesa si è sempre più astenuta dal dare giudizi politici, giungendo a dire, con Paolo VI, che «la stessa fede cristiana può condurre a impegni politiche diversi». Il suo peso nelle consultazioni elettorali si è sempre più ridotto, parallelamente alla scristianizzazione del popolo e alla sua assunzione a forte maggioranza democratica di condotte non accettate dalla Chiesa, come divorzio e aborto, e, presto, eutanasia e maternità surrogata.

I politici ragionano ancora con vecchi criteri, convinti che la Chiesa sia in ancora grado di condizionare il voto dei cittadini.

Non v'è dubbio che il cristianesimo in Italia è di forte minoranza. Anche politicamente il «partito laico a ispirazione cristiana» è stato sepolto nel 1992. Non mancano certo politici che si definiscono cristiani, ma in un senso vago e gratuito, facile da accettare. Anche perché, da qualche anno, nella Chiesa sentiamo dire tutto e il contrario di tutto. Non solo la società è «liquida», ma anche la religione. Lo Stato e la Chiesa ci sono ancora, ma il rapporto è difficile perché i due poteri, un tempo forti e potenti, si sono oggi a tal punto indeboliti da non avere più nemmeno la forza di combattersi

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