Nuove legge elettorale, ma questa volta non può più farla il governo

Categoria: Italia

Si sceglie insieme il sistema elettorale e la maggioranza lo deve approvare.

 di Sergio Soave  ItaliaOggi, 14.12.2016

Al di là di tutto l'interesse suscitato dalle caselle nuove e vecchie dell'esecutivo Gentiloni, il vero tema che dovrà affrontare la politica è quello della, o meglio delle leggi elettorali. Su questo il presidente della Repubblica è stato chiarissimo: vuole un sistema di voto omogeneo per l'elezione delle due camere. Questo significa che il Pd (o le sue correnti) è di fronte a una scelta: il Movimento 5 stelle chiede di estendere il sistema maggioritario a due turni previsto dall'italicum anche al senato, i moderati di centrodestra chiedono di estendere il sistema sostanzialmente proporzionale imposto dalla consulta per l'elezione del senato anche alla camera. Si sceglie insieme il sistema elettorale e la maggioranza lo deve approvare.

C'è, sullo sfondo, una terza ipotesi, quella di tornare ai collegi uninominali a turno unico che furono ideati proprio da Sergio Mattarella dopo il referendum Segni.

Paolo Gentiloni parla di Mezzogiorno e di lavoro, ma sa benissimo che questo problema non si affronta in pochi mesi. Mentre l'esecutivo cercherà di fronteggiare i rischi di crisi bancaria, di soccorrere i terremotati e di gestire la contrattazione nel pubblico impiego, toccherà ai partiti dipanare la matassa della legge elettorale. È evidente che questa volta non può essere il governo a muoversi come regista e autore delle riforme istituzionali: l'errore anche di metodo commesso in questa materia è stato pagato caro e nessuno può pensare di perseverare nell'errore.

Per questo, per la centralità paradossalmente assunta dal sistema dei partiti nonostante il discredito di cui soffre, le dinamiche interne al Partito democratico e all'area di centrodestra tornano a essere decisive. Sarà il congresso del Pd a decidere su quale schema di legge elettorale si costruiranno le alleanze parlamentari necessarie, quindi è urgente che quel congresso si tenga e possibilmente diventi un elemento di chiarezza. Il Pd deve decidere e non può nascondersi dietro i veti degli alleati minori di governo, che non possono minacciare una crisi a un esecutivo che già è sostanzialmente a termine.

Da questo punto di vista l'esclusione del gruppo di Denis Verdini dall'esecutivo non provoca traumi: ci ha pensato Beppe Grillo a rassicurare Gentiloni affermando che i senatori a 5 stelle non parteciperanno ai voti di fiducia, il che rende autosufficiente la maggioranza relativa del Pd a palazzo Madama. Il tempo per i rinvii è finito: il Pd deve scegliere se favorire un ricambio con un governo a 5 stelle o se puntare a un ritorno alle coalizioni postelettorali insieme con il centrodestra. Insomma, si è tornati alla situazione che c'era prima dei governi di Letta e di Renzi, visto che il tentativo guidato da Giorgio Napolitano di cambiare le regole del gioco, buono o cattivo che fosse, è stato bocciato dagli elettori.

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