La cerimonia degli auguri delle alte cariche al presidente della Repubblica è d'altri tempi

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Grasso come fosse a casa Savoia. Viviamo invece momenti che richiederebbero molta sobrietà

 di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it Italiaoggi 22.12.2016

C'era da chiedersi, osservandone la telecronaca di diretta di Rai1, chi avesse avuto l'incredibile idea di mantenere in vita la cerimonia degli «Auguri delle alte cariche al presidente della Repubblica», in questo 2016 che ne ha viste tante, troppe e inaudite. Non certo Sergio Mattarella, di per sé persona sobria e dotata di spirito critico, oltre che di una storia personale e politica di tutto rispetto.

Nessuno più alieno di lui ai vecchi e nuovi fasti, ai festival dell'ammirazione, all'ascolto dei più smaccati complimenti da parte dei cortigiani, in gran parte decrepiti, che gremivano il salone del palazzo del Quirinale dedicato all'evento.

 

Introdotta –la cerimonia- dal più banale e scontato dei discorsi pronunciato da Pietro Grasso, seconda carica dello Stato in virtù del laticlavio regalatogli da Pier Luigi Bersani e della successiva promozione alla presidenza (per equilibrare l'arrivo a Montecitorio della premio Nobel, Boldrini), una prolusione infarcita anch'essa di elogi apodittici (tipo “illuminata guida del presidente”, come se fossimo in Corea del Nord) e di ringraziamenti per le alte doti ed esemplari messe in campo dall'inquilino del Quirinale, e dalle ondate di applausi della coorte di sepolcri imbiancati che popolavano il salone, gente che ha sperato nella terza, ma è vissuta nella seconda e nella prima Repubblica e, magari, se non ostasse l'anagrafe, anche nel Regno d'Italia, magari in quell'accolta di giovincelli che era il suo Senato (mai messo in discussione, visto che era una meta ben retribuita, meglio del Consiglio di Stato, destinato alle seconde schiere), la serata è poi decollata per il merito esclusivo del capo dello Stato, chiamato a un ringraziamento formale che ha trasformato in discorso politico a tutto tondo.

Infatti, Mattarella non si è limitato a poche parole di circostanza, ma ha pronunciato un discorso complesso che Matteo Renzi farebbe bene a farsi stampare per leggerlo con attenzione, parola per parola, in modo da comprendere il detto e, soprattutto, il non detto, l'accettabile (per lui) e l'inaccettabile, in quanto espressione di un'idea dei prossimi mesi del tutto diversa da quella manifestata in varie occasioni, ultima l'assemblea nazionale del Pd.

In realtà, il suo (di Renzi) «ragionevole» approccio ai problemi del Pd è risultato, a un esame approfondito, molto meno ragionevole e, soprattutto, molto meno ragionato.

Vittima e schiavo di una mente rapida nelle valutazioni e nelle decisioni, ma, altresì con la vocazione della tattica e la negazione della strategia, Matteo Renzi, ha in sostanza apparecchiato una guida rossa per la minoranza interna in modo che presto prenda la via d'uscita, e, invitando il suo partito a un ritorno al contatto con l'elettorato, ha dimenticato di dire il perché e il percome.

Ha tralasciato il fatto, ormai noto a tutti, che il suo messaggio, quello del suo governo e quello del suo partito (al netto della propaganda –e del voto- avverso della sua minoranza) non ha sfondato, anzi ha suscitato la repulsione della maggioranza dell'elettorato. E non ha detto in che cosa il messaggio doveva essere corretto e aggiornato.

Credo, in definitiva, che Renzi debba essere preso così come è, ben sapendo che, nella storia d'Italia, nel bene e nel male, menti strategiche lo sono state Cavour, Giolitti (Giovanni), Mussolini, De Gasperi, Moro e Craxi. Con condizionamenti inauditi, D'Alema. Non altri. E che il maggiore dei politici contemporanei, Andreotti spiccava per capacità tattiche e cinismo, mai per disegni di lunga portata.

Mattarella, al Quirinale ha posto alcuni invalicabili paletti a lui, proprio a Matteo Renzi, facendo intendere che li poneva a tutte le forze politiche. La nuove legge elettorale non deve essere affrettata; occorre rispettare le scadenze internazionali; il governo Gentiloni esisterà finché avrà una maggioranza parlamentare.

Perciò, questo governo (di continuità eppure di discontinuità) potrà essere 'cacciato' in caso di (improbabilissimo) voto di sfiducia del suo partito o di completamento della legislatura.

Insomma, ci sono sul tavolo tutti gli elementi perché si sostanzi, nei fatti, una sempre maggiore distanza tra il giusto e doveroso rigorismo istituzionale di Mattarella e l'avventurismo un po' sventato dell'ex sindaco di Firenze.

Per converso, ci rimane davanti, non un Renzi senza Renzi, o una brutta copia del Renzi 1, ma un governo Gentiloni che, già dallo stile, si distanzia di varie miglia dal segretario del Pd.

Un'ultimo auspicio: Sergio Mattarella ricorra a se stesso, ai propri fondamentali e abolisca tutte le cerimonie che puzzano di cortigianeria, che ricordano i vecchi riti e doni a quest'Italia provata dalla crisi il senso di una sobrietà riconquistata.

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