Molti credono che i politici abbiano in mano la Rai. È invece la Rai che ha in mano i politici

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La Rai infatti era in mano ai politici solo ai suoi esordi, quando la Dc controllava tutto. Poi il potere Rai si è progressivamente sbriciolato fra i vari patiti

 di Pierluigi Magnaschi ItaliaOggi 5.1.2017

Il celebre economista inglese John Maynard Keynes (morto 70 anni fa) diceva che le opinioni pubbliche, e i leader che dovrebbero guidarle, sono spesso vittime delle idee superate di un economista defunto. L'evento si ripete spesso nelle più varie circostanze. Ad esempio, anche adesso, Barack Obama sta concludendo pateticamente il suo secondo mandato presidenziale proprio perché suppone (contro ogni evidenza) che esista ancora la guerra fredda e che il principale nemico degli Stati Uniti sia ancora la Russia.

Lo stesso capita con la Rai, come dimostra anche adesso la vicenda del responsabile delle news, Carlo Verdelli, che, dopo averle tentate tutte per rinnovarle, ha dovuto gettare la spugna e rinunciare all'impresa. Anche questa vicenda non si capisce (o si capisce solo in parte) se si aderisce all'idea che il mondo politico abbia in mano la Rai anziché l'opposto.

La Rai infatti era in mano ai politici solo ai suoi esordi, quando la Dc controllava tutto. Poi il potere Rai si è progressivamente sbriciolato fra i vari patiti (con la prima rete alla Dc, la seconda ai socialisti, la terza ai comunisti). In seguito, con la crescente coriandolizzazione politica post Mani pulite, il potere dei partiti sulla Rai (che pure esiste, e che spesso dà dei sonori colpi di coda, come del resto fanno anche le balene spiaggiate) si è progressivamente trasferito sulla nomenclatura aziendale che, sommandosi allo strapotere sindacale, ha definitivamente ingessato la Rai come se essa fosse inserita in un polmone d'acciaio. Può sopravvivere, ma non cambiare.E in un settore come quello del media digitali che cambiano completamente fisionomia ogni cinque anni, l'immobilismo è una dichiarazione di morte e non solo di impotenza.

Sbaglierebbe chi ritenesse che questa situazione sia modificabile (come succede in qualsiasi società per azioni di qualunque paese ad economia di mercato) dall'azione del presidente e dell'amministratore delegato. E anche dalla maggioranza del cda. Costoro, formalmente, hanno la possibilità di fare le scelte ma, in sostanza, in Rai non possono farle perché, al pari di Gulliver, che pure era un gigante, sono imbrigliati da sottili liane che li stringono e impediscono ma non si sa nemmeno da chi siano state tese, di che sostanza siano fatte, da dove vengano e come operino. In questo quadro di potere, potente perché intrecciato, ma incontrastabile perché è allo stato gassoso, l'unica riforma possibile è non fare nulla.

Basti pensare che, proprio per ingessare il tutto, impedendo ogni rinnovamento, la Rai è l'unica azienda editoriale italiana che non applica il contratto di lavoro giornalistico che prevede la possibilità del licenziamento con (lauto) indennizzo automatico di ogni direttore e vicedirettore di testata per autonoma e non appellabile decisione dell'editore.

Nei contratti Rai invece si prevede una clausola che, all'opposto, prevede specificamente l'illicenziabilità anche nelle posizioni dirigenziali, per cui, quando un direttore viene sostituito, l'azienda Rai che lo ha rimosso, perché evidentemente non lo riteneva più all'altezza dei suoi compiti, deve trovargli un altro posto di suo gradimento (che spesso è farlocco) e il rimosso conserva la retribuzione e i benefici direttoriali precedenti.

Recentemente, in piena gestione Campo Dall'Orto ancora forte perché sostenuto da Renzi prima del referendum che lo ha disarcionato, è stata fatta in Rai una infornata di vicedirettori, tutti promossi con la clausola aggiuntiva della illicenziabilità che, ripeto, non è prevista dal contratto nazionale di lavoro giornalistico. Ora, pazienza con le posizioni in essere (a costoro, avendo ottenuto il beneficio extra-contrattuale, esso non può essere tolto se non con una specifica e difficile ricontrattazione) ma insistere attribuendo l'assurdo beneficio anche con le nuove nomine (avvenute sul finire del 2016!) è uno dei tanti fatti che dimostrano che la Rai non solo astrae dai costi, ma è anche irriformabile.

In queste condizioni, nemmeno Sergio Marchionne avrebbe potuto operare. Immaginarsi Carlo Verdelli, che pure è uno dei più grandi esperti mediatici italiani e che, se lasciato lavorare, come dimostra anche il suo piano e gli interventi già da lui introdotti nel suo anno di lavoro, avrebbe cambiato radicalmente (e decisamente in meglio) la Rai che, in barba alla tante eccellenti professionalità che in essa operano (quando esse vengono lasciate operare) è sempre più una società alla deriva che rifiuta l'obbligo del cambiamento, protetta dall'assoluta ridondanza del canone obbligatorio. Ma fino a quando?

Pierluigi Magnaschi