La proposta è molto semplice: servono 36 ore di lavoro settimanali per eliminare la disoccupazione. Senza lasciare alone
Formiche net, 5.2.2017
Il sociologo del lavoro Domenico De Masi sta da tempo elaborando originali proposte per affrontare i rischi di disoccupazione tecnologica. Fatale che il suo percorso incrociasse quello del M5S, alla ricerca dell’utopia perfetta da declinare in proposte di legge. In una recente intervista a La Stampa, De Masi spiega come ridurre la disoccupazione, non solo quella tecnologica. Ed è subito “momento peyote”.
La proposta è molto semplice: servono 36 ore di lavoro settimanali per eliminare la disoccupazione. Senza lasciare alone. Nel Rapporto 2025, l’opus magnum demasiano di oltre 300 pagine commissionato dai grillini, il simpatico sociologo molisano ci informa che la tecnologia distruggerà più lavori di quanti riuscirà a crearne, ma che sarà comunque “un nuovo Rinascimento”, perché la gente avrà molto più tempo libero per crescere spiritualmente e culturalmente, realizzandosi.
Riusciranno a sopravvivere, spiega De Masi, “i lavori in cui siano centrali empatia e creatività”. Veniamo al nucleo della proposta di De Masi: “Se chi lavora 40 ore settimanali riducesse il proprio orario a 36 ore, la disoccupazione si azzererebbe. Il punto, quindi è riuscire a convincere un occupato a cedere le sue ore a un disoccupato”.
Questo lo sostiene da tempo anche Grillo, ma come si fa?
“Lo spiego nel mio prossimo libro “Lavorare gratis, lavorare tutti”. Serve una piattaforma online alla quale i disoccupati possano iscriversi per mettere a disposizione le proprie competenze, dall’idraulico al designer, gratuitamente. Se su 3 milioni di disoccupati 1 milione lavorasse gratuitamente, si spaccherebbe il mercato, costringendo chi lavora di più a lavorare di meno”.
E perché un disoccupato dovrebbe lavorare gratis?
“Per fare la rivoluzione. E poi, il vero dramma del disoccupato è non fare nulla tutto il giorno. Se iniziassero tutti a lavorare gratuitamente, nel giro di poco tempo troverebbero un lavoro pagato”.
Per convincere a lavorare meno gli asociali che hanno un lavoro, occorre quindi convincere i disoccupati a fare quello che l’economia postula da sempre: concorrenza. Serve anche avere prezzi che si formino in assenza di attrito, cioè servirebbe abolire i compensi minimi stabiliti per legge. Non solo: in una prima fase servirebbe anche abolire il principio costituzionale (a sua volta vagamente mutuato dalla dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, alla voce schiavitù) che richiede che ogni prestazione lavorativa abbia una controprestazione, altrimenti detta “compenso”.
Per essere sicuri di non sbagliare, serve che i disoccupati entrino sul mercato del lavoro a costo zero. In quel modo, chi lavora vedrebbe crollare il proprio reddito. Questo in caso si tratti di autonomi. I dipendenti, invece, verrebbero rapidamente sottoposti ad arbitraggio di manodopera da parte dei datori di lavoro, che assumerebbero a costo zero licenziando chi è sopra quel livello. Il costo zero serve per compensare le diseconomie legate a licenziare gente formata in impresa, è chiaro. Alla fine del giro di giostra, col rilancio a costo zero, tutte le imprese si troverebbero in casa lavoratori gratis. Anzi, le prime ad aver licenziato, al termine dell’aggiustamento, potrebbero anche riprendersi i dipendenti originari, per non perdere il loro capitale umano formatosi on the job. Non temete, però: alla base di tutto c’è il reddito di cittadinanza. Non ditemi che non lo avevate capito?
Quindi, l’invito di De Masi ai disoccupati è “guagliò, spaccate il mercato e il culo a quelli che lavorano, fatelo gratis, e vedrete che prima o poi vi pagheranno pure”. Parole e musica di uno dei “più stimati accademici italiani in materia di occupazione”. D’acchito, leggendo tali elaborazioni, a noi verrebbe da pensare che viviamo in un’era di transizione: la chiameremmo “l’Era delle Grandi Stronzate”. Ma forse il pensiero di De Masi è stato male interpretato dall’intervistatore. In quel caso dovremmo leggere il suo ultimo libro. Che tuttavia non si capisce perché dovrebbe essere a pagamento, viste le premesse metodologiche dell’autore. Ah, già, scordavamo: riusciranno a sopravvivere (e quindi ad avere un prezzo maggiore di zero) “i lavori in cui siano centrali empatia e creatività”. Ecco perché De Masi ha accettato che al suo libro venisse apposto il cartellino del prezzo. Tutto si tiene, alla fine. A noi Escher ci fa una pippa.
(Estratto di un articolo pubblicato su Phastidio.net) Mario Seminerio , curatore del blog Phastidio.net