Per vincere in politica servono più i sospetti che non le idee

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Il profeta della nostra epoca, Federico Nietzsche, ce l'aveva insegnato: viviamo in una cultura della «diffidenza» (Misstrauen).

 di Gianfranco Morra, da italiaoggi.it del 20.5.2017

Il profeta della nostra epoca, Federico Nietzsche, ce l'aveva insegnato: viviamo in una cultura della «diffidenza» (Misstrauen). Ma non solo lui. Il filosofo Paul Ricoeur, professore di Macron, parla di tre «maestri del sospetto» (maîtres du soupçon): Marx, i valori dell'uomo sono sovrastrutture ideologiche dell'economia; Nietzsche, la morale è solo un tentativo di difesa delle classi inferiori; Freud, quella meraviglia che è la coscienza è solo un inconscio che diviene un piccolo io.

Oggi di tutto vogliamo diffidare e prevale, da noi come dovunque, il sospetto. Di fronte a ogni affermazione diciamo: «Non ci credo, mostramelo». Condotti a ciò dalla caduta di tutti i valori perenni del passato (religione, morale, filosofia) e dal prevalere di una cultura pluralista e relativista, al limite nichilista. Avviene soprattutto nella politica. Un tempo si enunciavano progetti ideologici, con critiche e anche polemiche sui progetti degli altri, ma di norma senza accusare gli avversari di immoralità, menzogna e criminalità. Come invece è oggi prassi quotidiana.

Gli strumenti principali del sospetto sono i mezzi di comunicazione: la televisione con i suoi notiziari prefabbricati e i suoi talk che denunciano e accusano; la stampa con titoli allusivi e ambigui, graditi alla coscienza popolare convinta che tutti sono ladri e profittatori; i social, che consentono di mandare nell'etere sospetti privi di fondamento e volgarissime contumelie; le sedute parlamentari nelle quali non si confrontano idee ma ogni partito accusa gli altri e chiede confessioni e dimissioni.

A tal punto l'arte del sospetto è una prassi generalizzata ed enfatizzata, ma solo per breve tempo scuote l'opinione pubblica, che rapidamente dimentica, anche perché deve continuamente dare spazio a nuovi sospetti: l'uno tira l'altro e l'uno scaccia l'altro. Si aggiunge la lentezza della giustizia, che consente a molti colpevoli di sfuggire alla sentenza, i reati imputati cadono per decorrenza di termini. Rimangono solo i sospetti.

Le tecniche seguite per far nascere e gonfiare i sospetti sono ridicole. Non si usano accuse dirette, per evitare denunce, si avanzano ipotesi di crimini, soprattutto usando i verbi al congiuntivo e condizionale, e si chiede agli interessati di smentirli: «X è stato fotografato insieme con un mafioso, dunque »; Y è andato a cena con un profittatore, ma perché mai? ; W di certo gli ha telefonato, perciò ; la nipote di Z ha lavorato per lui, non vi dice niente? Se gli interessati non rispondono, per giorni e giorni i giornali ripubblicano le stesse famigerate domande, ormai trasformate in prove di reato: una tecnica che nacque nella stagione di «Mani Pulite» e fu rivolta soprattutto contro Berlusconi.

L'opinione pubblica non sa più a chi credere. Ma i sospettati hanno ricevuto un marchio (giustificato o inventato) che li accompagnerà a lungo nella nostra società. Che è tutta una scuola del sospetto.

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