Gentiloni non è Letta

Categoria: Italia

L’irragionevole campagna stampa per spingere Paolo a essere Enrico. Perché c’è chi prepara il terreno della zizzania fra Gentiloni e Renzi?

di Giuliano Ferrara 17 Giugno 2017 alle 06:10 da www.ilfoglio.it  

Noi avevamo avvertito: non esiste Enrico Gentiloni, non esiste Paolo Letta. Ma il Notista Collettivo si ostina a non capire. Bisogna mettere della banale zizzania, spingere Paolo a comportarsi come si comportò Enrico. Così scrivono, in questa direzione si muovono, anche troppo apertamente per non essere notati. Vi sembra ragionevole? No che non lo è. E non solo per le differenti personalità, per il fatto che Enrico Letta faceva e fa parte di una coterie di rango ma sempre ispirata al sequestro per sé di ogni possibile programma riformista (parliamo della concezione chiusa dell’ulivismo, con le sue notevoli personalità come Romano Prodi o risalendo nel tempo Beniamino Andreatta); questa congregazione politica bolognese, con la sua protuberanza pisana, è portatrice di una cultura e di un orgoglio semicastale che fanno onore al meglio della sua produzione politica e della sua pratica intellettuale ma chiudono il discorso all’interno di un personale politico particolare, senza aperture a estranei e a progetti in parte diversi. Uno come Renzi, che non ha combattuto Berlusconi con il moralismo e il tintinnio delle manette, non era e non poteva essere, nel loro linguaggio, one of us. Punto.

Paolo Gentiloni è un altro paio di maniche. Ha altra formazione, ascendenza romana e rutelliana collaudata nell’esperienza di una doppia sindacatura, una cultura ecologista e riformista costruita al di fuori delle consorterie più radicate nell’establishment, è un aristocratico di recente rango ma di tatto inconfondibile, è uomo prudente nel senso migliore del termine, quando la prudenza non è un dispositivo malizioso, strumento di rapina ed esproprio del terreno politico di amici e avversari, ma un costume, una specie di seconda pelle, una natura tranquillamente esibita, una cosa da professional della politica (di qui l’accusa di “noia”, perché il tipo non è da romanzo sanguinario o da avventura ricca di trabocchetti e agguati). E questo, con doveroso semplicismo e riduttivo, per le differenze di storia e personalità (molto si potrebbe aggiungere).

C’è poi la cosa più importante ancora. L’ingresso dell’Italia politica in un nuovo-vecchio capitolo della sua storia, quello di una Repubblica parlamentare fondata su regole di rappresentanza proporzionali, proporzionali corrette o altro, ma insomma quella è la prospettiva. Molti se ne lamentano. Ma debbono fare i conti con la realtà, altrimenti la lamentela risulta irragionevole, come la pretesa di creare ad arte il terreno della zizzania fra Paolo e Matteo. In linea di principio sarebbe meraviglioso che il paese potesse decidere della politica in un quadro parlamentare tipo Westminster, sebbene la politica abbia appena fatto il brutto scherzo di rivelare certe fragilità anche di quel modello, obbligando una premier britannica fortemente indebolita a un’alleanza maggioritaria farlocca per restare in sella (quella con gli unionisti nord-irlandesi). Ma in linea di fatto, e i principi come diceva Longanesi non devono essere un appoggio per noi, sennò si piegano, tutto è cambiato, e aggiornarsi è di rigore, non per cinismo o rassegnazione, ma per far funzionare l’intelligenza. La storia delle primarie vinte da Renzi, del patto del Nazareno e della riforma elettorale e costituzionale collegate, patto con il quale Enrico Letta fu sloggiato da Palazzo Chigi, essendo del tutto estraneo alla sua logica politica, per non dire altro, non è ripetibile; e infatti il conato nazarenico appena rifluito con un voto qualsiasi in Parlamento verteva su una legge proporzionale e sulla rinuncia a forme repubblicane nuove.

Articolo completo su www.ilfoglio.it