Fascismo, legge Fiano e la mancanza di una visione laica della storia nazionale

Che cos’è che non va nell’articolo unico della proposta di legge? Non certo l’obiettivo di combattere la riorganizzazione del partito fascista.

 Gianfranco Polillo 14.9.2017 www.formiche .net

Fortunatamente la proposta di legge Fiano, che prevede la nascita di un nuovo articolo del codice penale (il 293bis) concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista, almeno per questa legislatura, non diverrà legge dello Stato. Si arenerà a Palazzo Madama, sommersa dalla pila di provvedimenti che aspettano la loro difficile conclusione. Per la prossima legislatura si vedrà.

Il fatto resta, tuttavia, inquietante. Dimostra quali possano essere i guasti di una legge elettorale iper-maggioritaria, come quella, giustamente, censurata dalla Corte costituzionale. Al tempo stesso evidenzia i possibili pericoli di un monocameralismo non temperato dalla presenza dell’ altra Camera: alla quale dovrà essere comunque riservato il diritto di intervenire ogni qual volta siano in discussione i fondamentali diritti di libertà previsti dalla nostra Costituzione.

Che cos’è che non va nell’articolo unico della proposta di legge?

Non certo l’obiettivo di combattere la riorganizzazione del partito fascista. Già previsto dalla XII disposizione transitoria e finale della nostra Costituzione. Alla quale ha fatto seguito la legge Scelba del 1952 (la numero 645), nonché la successiva legge Mancino (la numero 205 del 1995). Entrambe più volte sindacate sia dalla Corte Costituzionale che dalla Cassazione. Le quali sono state ferme nel ribadire il principio che occorre combattere la riorganizzazione del partito e non certo le semplici manifestazioni individuali, per quanto censurabili sul piano politico, protette dall’articolo 21 della nostra Carta fondamentale. La proposta di legge Fiano si muove invece in un orizzonte diverso: vuol colpire la semplice nostalgia se non la curiosità verso quei terribili anni. Con il rischio di alimentarne, specie verso le nuove generazioni, il fascino. Che è tipico di tutte le cose proibite.

Se poi accettassimo la tesi del presidente della Camera che propone di cancellare la scritta “dux” che campeggia sull’obelisco davanti lo stadio Olimpico, metteremmo sale sulle ferite. Riproponendo una sorta di moderna iconoclastia che fu caratteristica di alcuni momenti più bui della storia dell’umanità. Dimostrandosi, tra l’altro, del tutto inutile rispetto ai fini che pure dichiarava di voler raggiungere. A ricordare il fascismo non è solo una stele da camuffare, ma interi quartieri di Roma e non solo. Si pensi al complesso degli impianti sportivi, sempre in quella zona, a Piazza Augusto Imperatore, a Via dei Fori imperiali, all’Eur. E via dicendo. E che dovremmo fare di Sabaudia, “gioiello dell’architettura razionalista” come recita il cartello all’ingresso della cittadina? Lungo il corso principale e nella piazza del municipio, vi sono centinaia di fotografie che ricordano la nascita della cittadina. Con la figura di Mussolini, in primo piano, che pone la prima pietra, circondato dai gerarchi del regime. Dovremmo censurare anche quelle foto?

Ma c’è di più. Nei pressi di Latina, esiste un grande museo (Piana delle orme), purtroppo poco reclamizzato, che racconta la storia di quelle terre: dalla bonifica integrale agli episodi bellici che ne sconvolsero la vita (lo sbarco di Anzio, la battaglia di Cassino e via dicendo). E’ stato realizzato da un imprenditore agricolo, Mariano De Pasquale, che ha speso un’intera vita nella raccolta dei materiali di allora. Dalla dura vita di coloro che bonificarono una delle terre più insalubri della Penisola, fino alla raccolta delle armi che furono usate durante il secondo conflitto compreso un rarissimo esemplare di carro armato anfibio, recuperato in mare. Senza dimenticare la ricostruzione della stazione da cui partivano le grandi deportazioni nei confronti degli ebrei italiani. Naturalmente il vasto repertorio comprende fotografie del Duce e di altri dirigenti del regime fascista. Per vedere questa immensa raccolta di reperti si paga un biglietto d’ingresso.

Secondo la proposta di legge, “chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalso-cialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni“.  Che si dovrà fare, allora, di Piana delle orme? Distruggere le decine di capannoni in cui questi reperti sono contenuti. Togliere le fotografie del Duce? Inserire dei cartelli in cui si dice che la bonifica è stata fatta, ma da un innominabile? Suprema legge dell’assurdo.

Francamente è triste dover constatare che a distanza di quasi un secolo, in Italia, non si possa avere una visione laica della propria storia nazionale. Eppure lo stesso Palmiro Togliatti, nelle sue lezioni sul fascismo, cercò, fin da allora, di qualificarlo per quello che realmente fu, almeno dal suo punto di vista personale: “Un regime reazionario a base di massa”. Dove quel concetto stava ad indicare un’adesione seppure passiva – sempre dal suo punto di vista – da parte della maggioranza del popolo italiano. Il che fa di quell’esperienza un unicum irripetibile. Che non va confuso con altre situazioni che portarono alla privazione delle libertà personali.

Ecco perché quella proposta di legge non ha alcun senso. Dal punto di vista giuridico e ancor meno da quello storico. C’è nel susseguirsi dei cicli, che caratterizza la vita di qualsiasi Nazione, una continuità che non va spezzata. Ma letta con il suo inevitabile gioco di luci e di ombre. Il gruppo dirigente del Partito comunista, con il suo storicismo, queste cose le aveva comprese. Si sono perse, purtroppo, nella nebbia del presente.

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