La sinistra e la sempiterna ricerca del sacro Graal

Categoria: Italia

Incominciò a smarrirsi mezzo secolo fa. E si perse insieme con la speranza nel sistema sovietico. Oggi tutto pare essersi ridotto a una cosa: scongiurare l'ascesa a nume nazionale di un comico genovese furbastro.

MARIO MARGIOCCO, 3.12.2017 da www.lettera43.it

Come accade ormai da quasi 30 anni, la destra italiana si avvia alla competizione elettorale all’ombra di un signore ormai ottuagenario abile tattico ma che ha avuto due grandi occasioni per lasciare un segno positivo nel Paese, le sue vittorie del 2001 e del 2008, e si è perso dietro le olgettine. Adottando per un attimo una mentalità berlusconiana, si potrebbe dire che l’unica gloria indiscussa del Cavaliere fu, parole sue, avere impedito per un totale di circa 9 anni che la poltrona di Palazzo Chigi andasse a un “comunista”, o alleato. Adesso si prepara a nuove analoghe glorie: ad essere l’uomo che impedirà a Giggino Di Maio di sedersi su quella poltrona, con Beppe Grillo suggeritore appollaiato in spalla. Potrebbe essere meritevole. La sinistra prosegue nella sua ricerca della pietra filosofale della “vera” sinistra. Questo fa essenzialmente Giuliano Pisapia, alleato pare con due figure istituzionali che agli occhi dei vecchi elettori di sinistra sono atipiche come Laura Boldrini e Pietro Grasso, esponenti di punta dell’italico radical-chic. Anche Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema sono alla ricerca del sacro Graal, come fanno da decenni.

LA SINISTRA CERCA SEMPRE. Quella pietra filosofale o sacro Graal incominciò a smarrirsi quando la maggioranza degli elettori odierni non era ancora al mondo o era al massimo all’asilo, mezzo secolo fa circa. E si perse quando parve chiaro se non ai molto distratti (ne avevamo tanti) che il sistema sovietico non solo era oppressivo, ma mai e poi mai avrebbe raggiunto e tantomeno superato le capacità produttive dei sistemi occidentali più o meno capitalistici, perdendo quindi e di molte lunghezze la scommessa di Lenin e poi di Stalin e successori: vi faremo stare meglio di quanto potrà mai fare il capitalismo. Questo fino alla fine dei suoi giorni (1964) Palmiro Togliatti ripeteva ai filosovietici italiani: là stanno sempre meglio e qui sempre peggio. Meglio dimenticare. Le ultime fiammate di speranza, le ultime comitive in partenza da Malpensa con il fazzoletto rosso al collo, ci furono negli anni di Mikhail Gorbaciov. Per fortuna tutto finì in modo pacifico, o quasi, grazie anche a Gorbaciov. La Russia, dopo i massacri della guerra e dopo 20 milioni di vittime del comunismo, non voleva altri morti. Ma la sinistra cerca sempre.

Nel lontano 1916 Claudio Treves, socialista riformista molto legato a Filippo Turati, scriveva su Critica Sociale: «Il Partito dà l’idea di tanti partitini racchiusi uno dentro l’altro, come certi giocattoli cinesi. I Giovanili, i Comuni, le Sezioni, le Leghe, ecc… ognuno fa partito nel partito con programmi che variano… dall’ospitalità al nazionalismo alla negazione del dovere verso la patria». Per tutti i gusti, insomma. Nel 21 con la scissione di Livorno e la nascita del partito sovietico d’Italia si aggiungeva qualcosa di più di un partito nel partito, si aggiungeva un metodo “scientifico” per la conquista e gestione del potere destinato a cancellare tutte le velleità dei socialismi non scientifici. Oggi la diffusa versione è che la scissione di Livorno fu un errore, e questo è implicito nel fatto che gli uomini dell’ex Pci confluivano negli Anni 90 nelle braccia della generica socialdemocrazia europea.

TANTE SINISTRE. TUTTE PERDENTI. Treves era con Turati esule a Parigi quando Turati morì, nel 1932, in casa di Bruno Buozzi. Presto un articolo di Togliatti bollava il leader socialista scomparso come «il più corrotto, il più spregevole, il più ripugnante tra tutti gli uomini della sinistra», colpevole, opponendosi ai comunisti, di avere portato i socialisti «al disastro, al fallimento, alla rovina». I socialisti erano ancora socialfascisti, secondo la linea moscovita, e solo nel 35 scoccherà l’ora del fronte popolare che, fosse esistito nel 32, avrebbe certo reso ben più gentile la penna di Togliatti. Adesso qualche psicoterapeuta della politica riscopre Turati come possibile figura unificante della sinistra in vista del voto del 2018 ma c’è da dubitare che qualcuno, a parte sparuti gruppi di quello che fu il Psi, sappia davvero chi Turati era. La sinistra è orfana, a parte i ritratti del Che Guevara copyright di Feltrinelli, non si fa più spiegare nulla da Togliatti, dubita anche di Berlinguer, e persino l’antiberlusconismo che l’ha tenuta insieme per alcuni anni potrebbe non funzionare più. Ci saranno forse alle prossime elezioni più liste di sinistra di quante ve ne siano state alle ultime Presidenziali francesi, tutte perdenti.

PIÙ CHE MARXISTI, DOSSETTIANI. Restano i cattolici confluiti a sinistra, che ora con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni hanno, fino al voto, le maggiori leve del potere. E che non sono né nipoti di Togliatti né di Berlinguer, che nominano poco, come poco nominano Alcide De Gasperi, se non il 19 agosto, unico giorno dell’anno in cui il più importante uomo politico italiano del Dopoguerra viene ricordato, nella data della scomparsa. I cattolici di sinistra non sono mai stati molto marxisti, ma piuttosto dossettiani, e Giuseppe Dossetti, nome venerato da una minoranza ma ignoto ai 98 italiani su 100, è il loro nume.

Dossetti, vicesegretario Dc nei primi anni del Dopoguerra, era per una politica ispirata al Vangelo, radicalmente evangelica, parole grosse. Rimproverava a De Gasperi per il quale fu una spina nel fianco di non essere abbastanza cattolico ed evangelico e troppo liberale, aveva una certa ammirazione per i comunisti, «eretici cristiani» per i quali diceva votava «la parte più dinamica del popolo italiano», ma non era cattocomunista. Diffidava dell’America e si fidava poco dell’Europa, e il suo credo politico lo si può leggere in forma esauriente e a volte sorprendente in un intervento fatto nel lontano 1951 e intitolato Funzioni e ordinamento dello Stato moderno. Chiedeva uno Stato etico, cosa singolare dopo 20 anni di fascismo, ben al di là della separazione dei poteri di Montesquieu che riteneva una finzione a vantaggio dei ricchi, voleva un esecutivo forte e legiferante, e una ispirazione evangelica. A fine Anni 50, isolato («ormai di dossettiano sono rimasto solo io», aveva detto nel 51 lasciando la Dc), Dossetti si faceva prete, ma sempre con un occhio alla politica, da politico-monaco a monaco-politico.

SONO TEMPI MODESTI. Ciascuno ha i suoi padri nobili. Ma agli italiani interessano governo dell’immigrazione, lavoro, tenuta finanziaria del Paese poiché hanno sostanziosi risparmi e non vogliono vederseli in fumo. Un personaggio modesto come Matteo Salvini, giocando su questo, ha resuscitato la Lega. E visto che i risparmi sono in euro, non parla più male dell’euro come ha fatto, e troppo, in passato. Sono tempi modesti. Molti italiani si rifiutano di avere come nume nazionale un comico genovese furbastro. Vogliono evitarlo. E forse a questo si è ridotta davvero la sempiterna ricerca del sacro Graal.