L'allarme di Macaluso: «Vedo una sinistra senza prospettive»

Categoria: Italia

Intervista allo storico dirigente del Pci, a Livorno nel Teatro restaurato dove nel 1921 nacque il partito: «Renzi in piena crisi, ma la scissione è stata un errore»

di Fabio Demi, 6.4.2017 da IL TIRRENO

LIVORNO. Macaluso, scusi, già che parliamo della scissione del 1921... Ma se lei ci fosse stato, l’avrebbe fatta?

Emanuele Macaluso, storico dirigente del Partito comunista italiano, una lucidità impressionante in barba ai suoi 93 anni, ha la risposta pronta: «Ragionare con il senno di poi è sempre difficile, non so cosa avrei fatto in quella situazione. Però posso dire che il prodotto della scissione, il Pci, a cui io ho aderito nel 1941 e in cui ho militato con convinzione profonda, è stato un grande protagonista della storia politica dell’Italia».

Giovedì 6 aprile, a Livorno, Macaluso presenzia all’inaugurazione del restauro della facciata del Teatro San Marco, dove il 21 gennaio 1921 nacque il Partito comunista d’Italia. Al Teatro Goldoni si teneva il congresso del Partito socialista, all’interno del quale le divisioni erano ormai irreparabili. Gli esponenti della frazione comunista, capeggiati da Amadeo Bordiga, lasciarono il Goldoni e, percorrendo le strade del centro di Livorno cantando l’Internazionale, si ritrovarono al San Marco per dare vita al nuovo partito.

Macaluso, che significato ha per lei questo restauro?

«Un’iniziativa giusta. La storia non si cancella. È giusto che sia valorizzato il luogo in cui avvenne un evento così importante per la sinistra italiana».

Lei fa ancora politica?

«Non sono iscritto a nessun partito, se è questo che vuol sapere. Però ho una pagina Facebook su cui scrivo ogni giorno di politica».

Non ha mai aderito al Pd...

«Certo che no. Anzi, quando nacque il Pd, scrissi un libro dal titolo “Al capolinea”. I Ds e la Margherita, essendo giunti al capolinea, decisero di fare questa sinergia. Fu una fusione a freddo, fatta dagli stati maggiori dei due partiti, privi di un asse politico-culturale. Il Pd si porta dietro questo problema».

Mi sembra che spesso lei abbia rimproverato al Pd di non avere un’anima socialista.

«Nel Partito democratico la parola socialismo è diventata estranea, e questo lo considero un errore».

Come giudica la recente scissione nel Pd?

«Un nuovo sbaglio. Gli scissionisti sono un altro pezzetto della sinistra senza una politica alternativa. Se non erano d’accordo, bastava che facessero opposizione all’interno del Pd».

Un po’ come succedeva nel suo Pci, dove dietro al monolite di facciata c’erano anime diverse. Lei era un migliorista come Napolitano, Chiaromonte, Amendola. Un Ingrao, ad esempio, era su posizioni molto diverse...

«Nel Partito comunista indubbiamente convivevano anime diverse, ma ci teneva insieme quell’asse politico-culturale di cui parlavo prima. Noi ce l’avevamo, e mai nessuno avrebbe pensato a una scissione. Si discuteva, ci si confrontava anche duramente, però si rimaneva uniti. Questo almeno fino a quando il Pci fu superato dal Pds, al quale io aderii ritenendo che potesse svolgere un ruolo significativo nell’ambito del socialismo europeo».

Lo sa vero che Livorno ora ha un sindaco del Movimento 5 Stelle?

«Certo che lo so, e la cosa mi stupisce e amareggia. Ma come è possibile che la sinistra abbia perso a Livorno, dopo aver governato per settant’anni in questa città così importante per la sua storia? Ero stato a Livorno diverse volte, anche per la presentazione dei miei libri, e non mi ero reso conto che la crisi fosse così grave. Non so cosa possa essere successo per aver fatto precipitare la situazione».

A proposito di 5 Stelle: di recente lei ha avuto modo di dire che il movimento di Grillo gli fa paura. In che senso?

«Credo che questo movimento si caratterizzi per una concezione della democrazia contraria a quella disegnata dalla nostra Costituzione. La Carta indica una democrazia parlamentare, in cui il popolo elegge i propri rappresentanti nel Parlamento. La democrazia diretta dei 5 Stelle è qualcosa di diverso, direi che ha un carattere un po’ eversivo».

E del renzismo cosa pensa?

«Il renzismo è in piena crisi. La logica della leadership forte, del capo assoluto, non ha funzionato. È stata sconfessata dai risultati del referendum costituzionale, ma mi sembra che Renzi non l’abbia capito fino in fondo. Non comprendo la linea politica, quali alleanze si vogliono fare, quale coalizione. Ricordo che il Pd è un partito che ha circa il 30% dei consensi, non è più quello che prese il 40%».

Mi sembra di cogliere una certa preoccupazione...

«Vero, sono preoccupato per il futuro della sinistra, dove non vedo una prospettiva. Spero almeno che Orlando, anche se non vincerà la corsa a segretario del Pd, possa avere un pacchetto di voti tale da condizionare la situazione».