Il candidato M5s rinuncia alla libertà di mandato e di pensare con la propria testa.

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 Allungategli una pantofola e lui subito la bacia. «Rousseau! Rousseau!» Tutti lo invocavano

 di Diego Gabutti  19.1.2018 www.italiaoggi.it

Siamo qui, dice il caos in persona, per evitare che l'Italia precipiti nel caos. Gigetto Di Maio, mentre i sondaggi smentiscono (ma non abbastanza) la sua sicumera, si trasforma in un campioncino dell'ordine: giacchetta, cappottino, sorrisetto e Piattaformina Rousseau di nuovo in stato confusionale (peggio, se possibile, dei leader del movimento).

«Rousseau! Rousseau!» Tutti lo invocavano. Mai più un politico, per sua natura fallace e corrotto, si sarebbe interposto tra il popolo e le istituzioni, tra l'«uno vale uno» e i suoi leader (che valgono un cicinin di più). «Rousseau! Rousseau!» D'ora in avanti sarebbe stato un software a prendere freddamente tutte le decisioni. Mai più nepotismi, niente aumm aumm, basta con le nomine dall'alto e con la libertà di mandato (la libertà è soggezione, l'odio è amore, il Cile è il Venezuela, come in 1984). «Rousseau! Rousseau!» Dopo tremila anni di democrazie imperfette, in attesa della «singolarità» annunciata da Casaleggio pére di qui a quaranta o cinquant'anni, quando le macchine prenderanno il posto dell'umanità e allora via con Terminator, la Piattaforma Rousseau avrebbe garantito all'umanità un futuro breve ma intenso di libertà e giustizia per tutti.

Be', non è andata esattamente così, con buona pace degli Associati: Rousseau, da software salvifico si è trasformato in una «macchina celibe» (come i surrealisti, quasi cent'anni fa, chiamavano gli ordigni senza scopo, pieni d'ingranaggi e ruote e stantuffi e alberi a canne, perturbanti e rumorosi, ma assolutamente inutili, senza scopo, frutto di un'ingegneria astrattista e d'una «fisica divertente»). Migliaia di disoccupati, che in un mandato parlamentare nei ranghi 5stelle vedono un'occasione di lavoro, un modo per non dover ricorrere alla paghetta di mamma e papà per la pizza del venerdì sera, si sono affollati intorno alla Piattaforma da Mille e una notte nella speranza che, sfregandola, ne sarebbe uscito un genio, come dalla Lampada d'Aladino. Ne sono uscite le candidature decise a tavolino da Casaleggio fils (che secondo le malelingue sarebbe il burattinaio unico, defilatosi il Gran vaffista ligure, di tutto l'ambaradan antipolitico). Si è scoperto, infatti, che la Piattaforma Rousseau ha una doppia anima. Per metà è una macchina celibe surrealista, sia pure involontaria (e fin qui okay, le decisioni vengono prese a caso, che del «caos »è un anagramma). Ma per l'altra metà il software Rousseau è un giocatore di scacchi meccanico di Edgar Allan Poe: c'è dentro un nano (nel nostro caso un nano politico, il ragazzo Casaleggio, sempre secondo i pettegoli) che decide tutte le mosse.

Non è il software, ma il nano nascosto dentro il codice sorgente, a stabilire che Tizio o Caio meritano il laticlavio (è fedele alla linea, rinuncia alla libertà di mandato e alla facoltà di pensare con la propria testolina come i neobattezzati rinunciano al demonio, allungategli una pantofola e lui subito la bacia) mentre Sempronio deve invece restare nella coda per il pane (ha mancato di rispetto a Gigetto, in televisione fa pietà, o forse il giovane Casaleggio non sopporta chi si chiama Goffredo, o le ragazze con gli occhi verdi e il naso all'insù gli mettono paura). Fa tutto il nano: le regole, lo statuto e il non statuto, le multe; e dopo aver fatto tutto, se solo gli gira, lo dìsfa. Una regola, in particolare, ha stabilito il nano, eminenza grigia che non teme il ridicolo: non entra in lista chi fa uso di parolacce e insulta l'avversario. Chi smadonna, ingiuria, diffama e pratica il turpiloquio non entra (Gesù, aiutaci) nella lista del partito che ha il «vaffanculo» per bandiera, il cui leader dà della «vecchia puttana» a Rita Levi-Montalcini, Premio Nobel per la medicina, e ribattezza «Cancronesi» Umberto Veronesi, oncologo eminente.

Peggio che somari, e altro che «Cancronesi», è con crescente evidenza che gli Associati mostrando d'essere il canchero della politica italiana, un canchero autoritario e sfascista, che andrebbe curato, e che invece viene alimentato dall'irresponsabilità d'una parte dell'elettorato. Tra le «macchine celibi» il surrealista Marcel Duchamp annoverava anche la ghigliottina. Nessuno dica di non essere stato avvertito quando il prossimo software con un nano dentro si chiamerà Piattaforma Guillotin e (con un governo di prefetti e magistrati deliranti) cominceranno a rotolare le teste dei nemici degli Associati in anticipo sulla «singolarità».

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