NON SOLO IL PD ANCHE FORZA ITALIA SI SPACCA –

“C'È CHI VOLEVA SPARTIRSI I VOTI DI BERLUSCONI PER POI ARCHIVIARLO”

Francesco Verderami per il Corriere della Sera, www. dagospia.com

– GIANNI LETTA NON FA I NOMI MA ATTACCA I COMPLICI DI SALVINI: GHEDINI, TOTI E ROMANI - “LA MIA SCONFITTA E’ STATA NON RIUSCIRE A DISSUADERE SILVIO DALL’ACCETTARE IL ROSATELLUM. IL RISULTATO E’ LA CONSEGUENZA DI QUELLA SCELTA” – IL DISEGNO DI SALVINI CHE PUNTA AD ASSORBIRE FORZA ITALIA

-

È già finito il tempo dei festeggiamenti per Di Maio e Salvini: il giorno dopo il voto, il capo del Movimento 5 Stelle e il segretario del Carroccio toccano con mano quale sia la differenza tra vincere le elezioni e arrivare primi. E quale sia il rischio che da questo momento corrono. Ecco perché, all' unisono, si trincerano dietro le prerogative del capo dello Stato come a prender tempo, quasi evitando di rivendicare il mandato per formare il prossimo governo: non subito comunque, di certo non a tutti i costi.

Entrambi temono di trovarsi esposti troppo presto ai giochi di Palazzo, di diventare le vittime degli avversari interni ed esterni e di pregiudicare così la loro ambizione, quella di assumere - ognuno per la propria parte - la leadership del nuovo bipolarismo ancora in incubazione. Fiutano la trappola, la scorgono sotto un' eventuale offerta di un incarico esplorativo. Infatti, se questo fosse il tragitto per arrivare a Palazzo Chigi, è certo che Di Maio non lo percorrerebbe: «O mandato pieno o niente», ha detto durante la prima analisi sul dopo-voto. E come Di Maio anche Salvini osserva con circospezione quanti - tra compagni di partito e alleati - gli portano doni, sostenendo che adesso tocca a lui il mandato.

È tutto troppo semplice per non essere un agguato. E i due sanno che non possono macchiare la vittoria con un' iniziale passo falso: sarebbe un personale fallimento. Allo stesso tempo il capo dei Cinque Stelle e quello della Lega temono che in assenza di una soluzione di governo si torni presto al voto, e un simile epilogo farebbe saltare i loro piani. Di Maio perché costretto dal limite del «doppio mandato», che è una delle regole costitutive del Movimento. Salvini perché - attraverso «una rivoluzione gentile» - punta a costruire il centrodestra de-berlusconizzato.

Per entrambi Palazzo Chigi è «a un passo» ma entrambi sanno di aver bisogno di voti altrui per arrivarci. E questi voti possono arrivare solo dagli scranni del centrosinistra. La visita di ieri ad Arcore compiuta dal capo del Carroccio non è stata solo un gesto di cortesia verso l' alleato, se è vero che Salvini ha chiesto al Cavaliere di assumere un ruolo nell' operazione che mira a conquistare alla causa di governo una parte di quell' area. Il vincolo di mandato, cavallo di battaglia elettorale, è già alle spalle. Come Salvini, anche Di Maio l' ha dimenticato. Come Salvini, anche il capo dei grillini ha preso a dialogare con una costola del Pd, al punto da aver avviato dei contatti con Orlando in attesa che Renzi ieri rassegnasse le dimissioni.

Peccato che Renzi si sia messo di traverso e abbia annunciato di voler gestire la fase iniziale della legislatura per impedire che il Pd si trasformi nella «stampella» dei populisti: ha parlato al partito perché lo ascoltasse Mattarella, verso cui nutre i soliti sospetti e con cui i rapporti si sono interrotti.

L' idea di Renzi è di opporsi a qualsiasi soluzione: niente appoggio a governi di scopo, governi del presidente, governi di decantazione che prevedano la sua decapitazione. E poco gli importa se dal Colle in giù l' abbiano tutti presa male. La lista è lunga: si va da Gentiloni a Delrio, passando per Minniti e Franceschini.

Ora, non è dato sapere se sia stato davvero Verdini a consigliarlo di non lasciare subito la segreteria, come sostengono autorevoli esponenti di M5S. È certo che pezzi da novanta del berlusconismo facevano il tifo per questa soluzione. Così l' incubo del Cavaliere - anche lui dubbioso verso il Colle - è diventato per converso l' incubo di Di Maio.

Arrivare primi è pericoloso se il «passo» che manca alla vittoria è disseminato di tagliole. È vero, più dei Cinque Stelle è il centrodestra che si avvicina maggiormente al «numero magico» della maggioranza parlamentare. Ma davvero Salvini si metterebbe alla testa di un governo retto da una pattuglia di «responsabili», semmai si trovassero? E quanto durerebbe con questi precari equilibri?

Eppoi sarebbe lui il premier alla fine di una simile trattativa? Perciò ieri, accontentati gli alleati che gli chiedevano un gesto, ha lasciato la mano di gioco all' alter ego grillino. La sua priorità in fondo è un' altra: battuto il Cavaliere nelle urne, ha l' occasione di prendersi ciò che resta del suo regno.

Un centrodestra egemonizzato val bene un giro ai banchi dell' opposizione. D' altronde, numeri alla mano, Forza Italia da alleata è diventata ostaggio.

 

E siccome in prospettiva il partito di Berlusconi senza Berlusconi è destinato a liquefarsi, Salvini mira a una graduale fusione per assorbimento. Gianni Letta aveva capito per tempo il disegno ma non è riuscito a impedirlo: «La mia sconfitta - ha confidato - è stata non riuscire a dissuadere Berlusconi dall' accettare il Rosatellum. Il risultato è conseguenza di quella scelta». Non gli serviva un algoritmo per sapere che la Lega avrebbe sopravanzato Forza Italia. E forse lo sapevano anche dentro Forza Italia, se il braccio destro del leader azzurro è arrivato a dire: «C' è stato chi ha pensato di spartirsi i voti di Berlusconi per poi archiviarlo». Ecco il misfatto.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata