In politica oggi sono premiate le persone che sono ritenute senza carisma dai vari opinion leader

Categoria: Italia

La svolta elettorale del 4 marzo è figlia di una piccola rivoluzione della comunicazione.

di Paolo Martini 15.3.2018 www.italiaoggi.it

La svolta elettorale del 4 marzo è figlia di una piccola rivoluzione della comunicazione. Al successo dei Cinquestelle, per esempio, ha giovato la presa di distanza formale del fondatore Beppe Grillo, figura «mediaticamente» alquanto ingombrante, anche per la «mediocrità» ferocemente imputata al nuovo leader («Di Maio non è nemmeno laureato»). Con i social-media siamo entrati nella logica di un'identificazione a corta distanza, con i talenti della porta accanto firmano best-seller intitolati «Una di voi». Oggi aiuta persino una certa trascuratezza formale, basti pensare a Salvini, al limite dell'hipster (barba, t-shirt e felpe localiste) ma coerente con l'ideologia identitaria popolare e anti-élitès.

E paradossalmente, oggi, l'assenza di carisma rinfacciata subito al reggente Pd, Martina, dagli opinionisti, potrebbe essere un atout, se fosse accompagnata anche da una diversità di linea rispetto a Renzi. Più che «Un Paese senza leader» sembra che siamo ormai in un Paese, politicamente parlando, senza giornali e pure senza tv (vedere per credere, gli ascolti esigui raccolti dai Grandi Affabulatori Berlusconi e Renzi in campagna elettorale) ma con nuove figure guida, più vicine all'uomo comune e ai modelli internazionali vincenti, che i media tradizionali considerano caricaturali come tanti Cetto Laqualunque.

Ben prima e ben aldilà del caso Berlusconi, in Italia il rapporto tra i mass-media e la scena politica è stato strettissimo e di forte reciprocità. Persino Mussolini, giornalista militante e propagandista di rara efficacia, ha cominciato l'ascesa con il suo quotidiano «Il Popolo d'Italia».

La tenuta trentennale della Democrazia Cristiana si è basata sull'idea degasperiana di rifondare l'Italia sul ceto medio, nuova classe nazionale egemone costruita a partire dalla comune appartenenza religiosa cattolica. E la traduzione concreta di questa linea in riforme, con Fanfani, ha avuto nella Rai un cardine essenziale. Anche la battaglia del Partito Comunista, si è combattuta in gran parte nelle trincee dei media e della cultura. L'irruzione della tv commerciale, culmine del processo egemonico della nuova borghesia, è stata decisiva per laicizzare e personalizzare la politica.

Ma torniamo al presente. L'esplosione iper-mediatica che alla fine degli anni Novanta ha sancito la globalizzazione, è cominciata con la televisione dei format e dei reality, quintessenza delle regole della nuova società «del rischio» o «liquida», come dicono i sociologi cult. Il Rinascimento delle serie americane, grazie anche a nuovi attori imprenditoriali (da Hbo ad Amazon) ha infine ratificato l'ideologia forte di questo cambiamento, cioè i diritti individuali, e in specifico la libertà sessuale, su cui si fonda il definitivo melting pot.

La stessa figura narrativa principale di quest'epoca, il cosiddetto anti-eroe, personifica il processo di radicale sgretolamento sociale, delle classi e delle strutture tradizionali, delle identità nazionali e religiose (che invece si reggono quantomai su figure di santi, di eroi e di Cavalieri, fosse pure del lavoro). A questa tendenza si contrappone, da qualche anno, un variegato complesso di movimenti politici, che non a caso usufruiscono principalmente della comunicazione sui nuovi social-media, ben diversa rispetto ai vecchi meccanismi di formazione dell'opinione pubblica. E nella stessa industria televisiva, dopo l'onda lunga dei factual non si parla quasi più di star e nemmeno tanto di celebrities, quanto invece di characters, di semplici personaggi.

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