Governo. Maurizio Martina è il reggente del Pd oppure un autoreggente?

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L'impressione è che se l'intesa dovesse andare in porto, il Pd, nato 11 anni fa dagli eredi di Dc e Pci, si dissolverebbe

di Goffredo Pistelli, 26.4.2018 www.italiaoggi.it

«Reggente o autoreggente?», s'è chiesto, caustico, il comunicatore politico Massimo Micucci, dichiarata simpatia renziana, chiosando su Twitter l'apertura che Maurizio Martina aveva voluto dichiarare alla fine dell'incontro col presidente della Camera, Roberto Fico, incaricato da Sergio Mattarella di sondare una possibile maggioranza M5s-Pd.

La battuta di Micucci diceva quello che poi anche i retroscena politici di ieri hanno confermato: Martina, che dopo le dimissioni di Matteo Renzi, di cui era vice, ha assunto la carica di reggente, pare essersi spinto molto avanti rispetto al suo mandato. Già prima dell'incontro con l'esploratore grillino, in seno alla delegazione dem, composta anche dal presidente Matteo Orfini, e dai capigruppo di Camera e Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, ritrovatasi al Nazareno, sarebbero emerse tensioni, per l'intenzione del reggente di salutare positivamente la chiusura del forno leghista da parte del M5s.

Il possibilista Martina aveva fatto pendant con una lunga intervista a Repubblica di Dario Franceschini, grandecentrista Pd. Il ministro, che ha ereditato dalla sua storia dc la passione per i caminetti, ossia per il metodo della cogestione correntizia, aveva ribadito il suo favore al dialogo col M5s. La sua insistenza aveva provocato anche alcuni decisi «no grazie» da parte di esponenti storici della sua componente, Area Dem: «Non ho cambiato idea», aveva tuittato il senatore Salvatore Margiotta, «non ci sono condizioni per governo con M5s». E aveva aggiunto l'hashtag #senzadime, ricomparso grazie a oltre 20 mila tweet, nella classifica dei temi italiani più citati nel social network, che dimostra come la parte più dinamica della base sia decisamente contraria all'accordo. L'altro hashtag che era seguito, #tornaRenzi, è invece segno di nostalgia verso l'ex segretario, che ancora tiene un profilo basso, malgrado i retroscenisti lo indichino come il regista occulto del boicottaggio del nuovo Compromesso storico.

L'impressione è che se l'intesa dovesse andare in porto, il Pd, nato 11 anni fa dagli eredi di Dc e Pci, si dissolverebbe. Ed è probabile che gli aperturisti dem vedano nel sì al governo anche la possibilità concreta di una riaggregazione a sinistra, coi transfughi di Leu che già scricchiola (il governatore toscano Enrico Rossi ha già detto che è tempo di fare il Partito del lavoro).

Per Renzi, a cui è fedele più della metà dei parlamentari, si tratterebbe della rampa di lancio di un nuovo partito, sul quale potrebbe convergere il ministro Carlo Calenda, neoiscritto Pd, che ha ribadito di voler restituire la tessera in caso di alleanza con Grillo.