Grillini, in Friuli sono scesi da 169 mila a 49 mila

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Su sei friulani che il 4 marzo si erano espressi per i cinque stelle, soltanto uno è rimasto. Pure in Molise il M5s aveva patito una scoppola, scendendo da 71mila a 46mila, ma in proporzioni ben minori

di Cesare Maffi 3.5.2018 www.italiaoggi.it

L'elettorato è fornito di una volatilità impensabile nella Prima repubblica. Può spostarsi di qua e di là nel volgere di pochi mesi, non solo per il diverso carattere del turno elettorale (politico, amministrativo ecc.). Il tracollo del M5s in Friuli-Venezia Giulia è quasi da manuale: già si studiano i flussi per stabilire dove siano finiti tanti voti. Sono tanti, perché, in meno di due mesi, i grillini sono precipitati da 169 mila a 29 mila. Su sei friulani che il 4 marzo si erano espressi per i cinque stelle, soltanto uno è rimasto. Pure in Molise il M5s aveva patito una scoppola, scendendo da 71 mila a 46 mila, ma in proporzioni ben minori. Senza ricavare conclusioni affrettate («sono finiti», «si dissolvono», «fra poco scompariranno»), interrogarsi non è certo fuori luogo.

Bisogna partire dalla volubilità del corpo elettorale, sempre meno ideologizzato, sempre meno inquadrato nei partiti, sempre più disponibile a seguire personaggi, liste, offerte che sul mercato elettorale circolano in maniera estemporanea. Inoltre, cresce l'antipolitica, intesa pure come insoddisfazione verso i partiti chiamiamoli storici. L'ondata di Tangentopoli, nel 1993-94, non s'indirizzò verso il non voto bensì verso partiti ritenuti estranei alla corruzione scoperchiata da inchieste che fecero di Antonio Di Pietro un eroe. Guadagnarono la Lega Nord e il Msi in versione An, guadagnò il nuovo arrivato Silvio Berlusconi.

Pensiamo invece alle Politiche 2013. Mario Monti capeggiò una coalizione in cui il suo appena sorto partito, Scelta civica, riportò 3 milioni di voti, quasi il 9%. L'anno dopo, alle Europee, un cartello di una decina di microformazioni, fra le quali Sc, ottenne meno di 200 mila suffragi, largamente sotto l'1%. Gli ultimi residui del montismo si sono quest'anno candidati in Noi con l'Italia e alleati, lista che ha ottenuto poco sopra l'1%: dunque, il seguito di Sc (ammesso che ancora sussista) è sotto lo 0,1%. È un esempio di dissoluzione.

Il caso odierno del M5s si presenta diverso. La base elettorale grillina proviene tanto da destra quanto da sinistra e vota M5s per disgusto verso i partiti di provenienza.

Intende esprimere una protesta antipolitica. Ovviamente in un turno non squisitamente politico, come quello regionale, giocano fattori, specie personali, che hanno avuto una rilevanza fortissima in Molise e, a giudizio degli analisti locali, minore in Friuli-Venezia Giulia. Viceversa è da valutarsi la punizione che chi alle politiche votò grillino ha inteso in questo turno infliggere al movimento. L'apertura di Luigi Di Maio ai leghisti ha fatto infuriare chi proveniva da sinistra, mentre chi preveniva da destra si è adontato quando si è rivolto al Pd. Altri atteggiamenti hanno infastidito decine di migliaia di elettori grillini: intanto, la stessa ricerca di un'intesa, quale che sia il possibile alleato; i contenuti del «contratto»; l'intestardirsi sulla candidatura di Di Maio; l'improduttività post elettorale.

La protesta si è così spostata. In parte, e soltanto in Friuli-Venezia Giulia, una fetta di pentastellati delle politiche ha sostenuto stavolta la Lega, grazie all'accortezza dimostrata da Matteo Salvini e al trascinamento operato da Massimiliano Fedriga. Ben più rilevante è stato l'abbandono del voto per transitare all'astensionismo. Si è comprovato quanto l'antipolitica si possa indirizzare sia verso il M5s sia verso la fuga dalle urne. Gli infedeli nei confronti dei partiti si mostrano altrettanto infedeli verso i non partiti.